Il caso della Gallia. La conquista della Gallia da parte di Giulio Cesare fu un evento che segnò la storia dei secoli a venire. La Gallia divenne infatti una delle aree più intensamente romanizzate dell’Impero; le popolazioni locali finirono per assimilare la lingua e la cultura di Roma e per imporle, a loro volta, ai nuovi invasori germanici (Franchi e Burgundi) che, quattro secoli dopo, ne occuperanno il territorio. La lingua francese, chiaramente derivata dal latino, è la prova più evidente di questa eredità. Del resto ancora oggi il confine tra Francia e Germania coincide per un tratto con il corso del fiume Reno, rispettando un confine naturale che proprio Cesare contribuì a consolidare.
La storia, di solito, si ferma al giorno dell’ultima battaglia, quella decisiva, che segnava la sconfitta del nemico di Roma e dunque l’avvenuta conquista di una città o di un intero popolo. Ma che cosa succedeva a partire dal giorno seguente? Che cosa cambiava per gli uomini e le donne che avevano combattuto dalla parte degli sconfitti, per le loro città, per la loro terra, anche per la lingua che parlavano e la visione del mondo che condividevano, una volta che tutto ciò che era caduto nelle mani dei Romani? In generale, almeno nell’Europa occidentale, la cultura romana si impose nei territori di volta in volta conquistati, sostituendosi, a volte in maniera violenta, alle diverse culture locali, che finirono col tempo per scomparire o per restare patrimonio delle soli classe subalterne. Il processo, però, non fu a senso unico. Anche la cultura romana poté trarre spesso ispirazione da alcuni aspetti della civiltà conquistata (per esempio imitarne una certa tecnica militare o un aspetto delle lavorazioni artigianali) così come capitò spesso che uomini provenienti dai territori conquistati diventassero a Roma poeti o artisti celebrati e ricchi. Di solito, però, quando questo accadde fu perché degli uomini fecero propria la cultura dei conquistatori, non certo perché esprimevano il punto di vista dei conquistati.

Ancor prima, la “romanizzazione” dei territori sottomessi ebbe una serie di aspetti concreti, che lasciarono una traccia a volte visibile ancora oggi nel territorio, nel paesaggio, nella struttura urbanistica delle città o nei tracciati delle strade. Molti di questi interventi servivano innanzitutto alle necessità dell’esercito di occupazione: per esempio la costruzione delle strade, che avevano lo scopo di snellire i collegamenti con la capitale e di consentire la rapida circolazione di truppe, funzionari, dispacci. Il reticolo di arterie principali e diramazioni secondarie seguì di pari passo l’espansione dell’Impero, estendendosi progressivamente in tutta l’area romanizzata. Analogamente accadde con gli acquedotti ad arcate, che esportarono nelle province modelli e soluzioni ingegneristiche già sperimentate per l’approvvigionamento idrico di Roma; alcuni tratti di queste gigantesche costruzioni sono tuttora in piedi, in Francia, in Spagna e altrove, e segnano vistosamente il paesaggio.

Uno degli aspetti cruciali della romanizzazione fu però soprattutto la fondazione di nuovi centri urbani. In Occidente, dove prevaleva lo stanziamento in piccoli villaggi, l’introduzione delle città da parte dei conquistatori romani costituì una vera e propria rivoluzione. D’altra parte, nella cultura romana la città era sinonimo di civiltà (le due parole hanno infatti la stessa etimologia), perciò costruire una città non rappresentava soltanto una scelta economica o militare, ma il simbolo più forte della nuova e superiore civiltà di cui i Romani si sentivano portatori. Questo nuovo “ordine” urbano trovava un corrispettivo in quello politico amministrativo, cioè si verificò spesso l’estensione, a livello locale, di un sistema di magistrature che seguiva la falsariga di quelle romane. In molte città, per esempio, il sommo potere passò alla magistratura dei duoviri, letteralmente “collegio dei due uomini”, a imitazione di quanto accadeva a Roma con i due consoli.

 

In Gallia, come altrove, le nuove città nacquero spesso da acquartieramenti militari e dell’accampamento mantennero la struttura: la forma era per lo più quadrata o rettangolare, con due strade principali, il cardo e il decumano, che si incrociavano ad angolo retto, e un fitto reticolo di strade minori parallele ai due assi di riferimento. Una forma che le fotografie aeree consentono tuttora di riconoscere nei centri storici di città europee grandi e piccole. L’esportazione di modelli romani passava poi attraverso gli interventi urbanistici e di edilizia pubblica sulle città già esistenti. Si procedeva così a costruire i templi delle divinità romane (che i sudditi erano invitati a frequentare non tanto come atto di fede, quanto per dimostrare la propria lealtà ai dominatori), di un foro monumentale su modello di quello della capitale, di edifici destinati alle autorità locali o ai governatori romani, di teatri, anfiteatri e terme, ancora una volta secondo il modello di Roma.

Intanto, al di fuori dei centri urbani i disboscamenti consentivano la messa a cultura di nuove terre, ripartite secondo il meccanismo della centuriazione. Anche questo era un fatto simbolico, oltre che economico: il bosco, la foresta, rappresentavano infatti lo spazio dell’inciviltà, del disordine, del pericolo, mentre i campi coltivati erano il segno visibile del dominio della cultura umana sulla natura selvaggia.

Lex coloniae Genetivae Iuliae Ursonensis

Romanizzazione – ed è un aspetto ulteriore e assai importante – significò anche sostituzione del latino alle lingue locali. Naturalmente, almeno all’inizio, l’uso del latino era limitato agli atti ufficiali dell’autorità romana (per esempio, testi di legge, provvedimenti, iscrizioni su statue celebrative ecc.); ma presto l’impiego del latino si estendeva anche egli esponenti delle élite locali, sia per imitazione dei dominatori, sia per la necessità pratica di entrare in comunicazione con loro. Del resto, in latino parlavano i mercanti romani e italici, il cui arrivo accompagnava, e spesso addirittura precedeva, la conquista militare vera e propria: chiunque entrava in contatto con loro doveva perciò apprendere almeno i rudimenti della nuova lingua. Per fare un solo esempio, il verbo che nel tedesco moderno significa “comprare”, kaufen, deriva dal latino caupo, uno dei termini che designavano il questa lingua il mercante.

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By Antonio Palo

Laureato in 'Civiltà Antiche e Archeologia: Oriente e Occidente' e specializzato in 'Archeologie Classiche' presso l'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'. Fondatore e amministratore del sito 'Storia Romana e Bizantina'. Co-fondatore e presidente dell'Associazione di Produzione Cinematografica Indipendente 'ACT Production'. Fondatore e direttore artistico del Picentia Short Film Festival.

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