«Egittomania» / L’influenza egizia nell’arte romana in Italia
Oltre ad essere influenzati pesantemente dall’arte greca, a colpire i Romani furono anche le forme artistiche egiziane, che furono “importate” (in tutti i sensi) in Italia a partire dalla fine del II secolo a.C sino a divenire uno dei tratti particolaristici dell’arte romana. Vediamo – in breve – alcune delle principali opere d’arte di influenza egizia, nonché gli edifici legati a culti egizi, nell’Italia romana. Buona lettura!
Mosaico del Nilo (Palestrina). Questo splendido mosaico policromo proviene dal santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, dove costituiva la decorazione pavimentale di un ambiente absidato (si noti la forma) che affacciava sul foro della città antica. L’immagine rappresenta il corso del Nilo durante la piena: è una sorta di mappa dell’Egitto che va dai confini con l’Etiopia al delta del fiume (dove sorge Alessandria). Nella parte alta vi è il paesaggio faunistico della Nubia, mentre in basso vi è un tipico paesaggio antropizzato dove la natura lascia spazio al paesaggio architettonico, ossia a città circondate da mura e torri. Un ampio spazio è dedicato poi ad Alessandria e al suo porto.
Dal punto di vista tecnico l’opera è in opus vermiculatum: le tessere del mosaico sono piccolissime (come vermi), e proprio le loro esigue dimensioni permettono di realizzare un disegno non rettilineo, dando un effetto visivo simile a quello di un dipinto. Gli elementi artistici quali paesaggio caratterizzato, resa dei particolari, cromatismo, scene di vita quotidiana, senso di tranquillità e calma sono propri della cultura alessandrina, attestata a Roma già nella prima metà del II secolo a.C.
Tempio di Iside (Pompei). Risale al II secolo a.C. L’ingresso è dal portico orientale, distinguibile dalla presenza di due pilasti e di un intercolunnio più largo rispetto a quello degli altri lati. La scelta di questa soluzione è di carattere visivo, per permettere la visione dell’intero edificio. Sulla parete di fondo vi è una nicchia con pittura murale raffigurante un sacerdote. Gli ambienti ad ovest (quelli appartenuti alla Palestra Sannitica fino al 62 d.C.) furono destinati come sala per riunioni tra iniziati e come sacrarium: entrambe erano dipinte all’interno con pitture che celebravano Iside e Osiride, nature morte, soggetti e paesaggi egizi.
Il sacrarium in particolar modo celebrava Iside attraverso il mito di Osiride (la ricerca del suo corpo da parte di Iside) e la tipica processione egizia che celebrava il funerale (navigium Isidis). Il lato meridionale era scandito da stanze minori utilizzate dagli addetti al culto. Il centro del santuario è dato dall’altare tetrastilo, dal quale si poteva accedere sia tramite una scalinata frontale, sia da una scalinata di servizio sul retro. Ai lati del pronao vi sono due nicchie, che avrebbero dovuto contenere le statue di Anubi e Arpocrate (associate al culto di Iside e Osiride). Non mancavano poi riferimenti e simboli alla divinità e all’Egitto: ne sono un esempio una colonnina con iscrizioni geroglifiche e una nicchia che ai lati ha due orecchie giganti, simbolo dell’ascolto delle preghiere. Un’altra importante struttura è il piccolo ambiente a cielo aperto che da una scala conduceva ad un bacino che si credeva alimentato dal Nilo. Le decorazioni presenti all’epoca degli scavi (e oggi andate perdute) richiamavano quelle dell’omonimo tempio (Serapeion) di Alessandria d’Egitto.
Nel I secolo a.C. viene introdotto a Roma il culto di Iside e di Serapide, a cui viene dedicato un tempio, l’Iseo Campense, nel Campo Marzio, costruito nel 43 a.C., posizionato esattamente tra il tempio di Minerva e i Septa Iulia. Il culto verrà successivamente più volte abolito e reintrodotto nel corso dei regni degli imperatori giulio-claudi, a testimonianza che la cultura estranea al contesto propriamente locale non era vista di buon occhio da tutti (dall’aristocrazia conservatrice soprattutto).
La struttura (240×60 m) era ripartita in tre grandi spazi: porticato, piazzale, tempio. Su quest’ultimo (serapeo) oggi si trova la chiesa di Santo Stefano. L’ingresso era ornato da tre obelischi (6,34 m) risalenti all’epoca del faraone Ramses II e fatti portare dall’Egitto da Domiziano, oggi riposizionati su strutture di età moderna:
Piramide funeraria di Caio Cestio (Roma).
La vita di Cestio è raccontata da un’epigrafe ritrovata in loco: Cestio ricoprì vari incarichi politici sotto il principato di Augusto, e fu pretore, tribuno e membro del collegium addetto ai banchetti pubblici. La piramide è alta 37,5 m e ha la base di 30 m (125×120 piedi romani) e stando alle epigrafi fu costruita in solo 330 giorni: le forme ricordano molto le strutture piramidali tipiche della Nubia, divenuta provincia romana nel 24 a.C. e probabilmente Cestio fu legato alle vicende della nuova provincia. Un’altra ipotesi giustifica la volontà di erigere questo edificio per “seguire la moda” allora dominante che apprezzava le forme egizie. L’interno però non seguiva i canoni egizi: la camera sepolcrale era decorata con pitture di terzo stile; al contrario sempre la camera sepolcrale fu sigillata e resa inaccessibile, e fu scoperta solo tramite una galleria di epoca moderna.
Il fascino dell’arte egizia non si arrestò neanche in epoca tardo-antica. Ne è un esempio il drappo del mosaico in opus sectile appartenuto ai pannelli della Basilica di Giunio Basso (331 d.C.), oggi conservati presso il Museo dei Conservatori a Roma. Il drappo sottostante il mito di Ila è orlato da scene egittizzanti, che potrebbe far trasparire l’impiego di maestranze alessandrine specializzate nella lavorazione di pietre dure come il porfido e il serpentino, usati nelle tarsie).
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Fonti: P. Zanker – T. Holscher – R. Bianchi Bandinelli – M. Torelli – I. Bragantini/ opere varie