In cucina e a tavola i gusti tra i Romani e noi “moderni” sono completamente differenti, per orari, consistenza e, in primis, per le pietanze. Vediamo tutti questi aspetti! Buona lettura!

banchetto

La giornata tipica del romano altolocato iniziava con una colazione veloce (che ricorda molto quella anglosassone), chiamata ientaculum, che si teneva generalmente tra le 8 e le 9 (ora III), ed era a base di pane e formaggio e accompagnata da latte e vino. Venivano consumati anche carne, pesce, uova, verdure e miele. Altrettanto breve era il prandium (pranzo), che si teneva alle 13 (ora VII) ed era un pasto freddo. Seguiva poi la meridiatio, il riposo… aspettando la cena!

La cena era il pasto più abbondante, e poteva avere inizio già nelle prime ore del pomeriggio. Per i ceti più abbienti, più che cena si trattava di un vero e proprio convivium, al quale prendevano parte invitati scelti. I partecipanti nella prima età repubblicana erano esclusivamente uomini (le donne non potevano partecipare alla vita sociale, per il mos maiorum), mentre nella tarda età repubblicana e in epoca imperiale la partecipazione viene estesa a mogli, matrone, ma anche a danzatrici e donne di compagnia (etère). Si mangiava distesi sul triclinio. Com’era articolato il triclinium: vi erano tre divani (lecti) posti intorno alla tavola (mensae), che prendevano il nome di summus “superiore”, medius “medio” e imus “inferiore”. Ogni divano poteva avere tre posti. Tra gli invitati, quello di maggior riguardo veniva fatto mettere all’ultimo posto del triclinio di mezzo, per avere la comodità di alzarsi agevolmente e parlare con il proprio schiavo. Il padrone di casa invece occupava il primo posto del triclinio inferiore.

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Come già detto, si mangiava sdraiati: il gomito sinistro veniva appoggiato ad un cuscino, la mano sinistra sorreggeva il piatto, che poteva essere piano (patina), piccolo (patella) o fondo (catinus). Il cibo veniva preso con la mano destra. Non vi erano posate, eccetto la ligula, il cucchiaio, usato per pietanze particolari. Per motivi di decoro, il cibo doveva essere preso con la punta delle dita al fine di non ungersi o sporcarsi troppo. Gli avanzi del cibo venivano gettati per terra e raccolti da un apposito schiavo detto scoparius. Il banchetto poteva durare fino a notte fonda, e vi erano perciò numerosi intrattenimenti come danzatrici, musicisti, poeti o mimi.

festino

La cena si apriva con l’antipasto (gustatio), a cui seguivano minimo tre portate (mensae) e un “dessert” (secundae mensae). Contrariamente a quanto possiamo pensare, quest’ultimo era piccante, per fare in modo da stimolare la sete: per questo vi era la commisatio, durante la quale, su indicazione del presidente (rex convivii), si beveva ripetutamente vino tutto d’un fiato.

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I cibi. Nell’antipasto veniva solitamente consumato l’uovo, come attestato dal modo di dire latino ab ovo usque ad mala “dall’uovo alle mele” (“dall’inizio alla fine”, ndr). I Romani consumavano spesso ostriche e pesci (allevati nelle piscinae delle villae), uccelli (allevati nelle voliere) o selvaggina. Tra i piatti più ricercati vi erano: murene, mammelle di scrofa al latte, pavone in umido, ghiro, fenicottero. Ogni piatto veniva condito con salse, fra cui vi era il garum (o liquamen), ottenuto dall’essiccazione di interiora di pesce poi fermentate. Le bevande. L’unica bevanda era il vino, spesso misto a miele (dopo la gustatio). Nel corso della cena vi era un progressivo aumento della qualità del vino: si cominciava da quelli di poco valore sino a giungere a quelli più pregiati. Il vino era versato caldo, e dato che era molto forte, veniva diluito con l’acqua (tre parti acqua ogni parte di vino). Sulla mensa era posto in apposite bottiglie (lagonae) dalle quali veniva versato nelle coppe (pocula) o nei bicchieri (calices). La birra (cervesia) esisteva, ma era riservata agli schiavi.

Mosaico Garum
Mosaico Garum

Non tutti potevano permettersi tutte queste cose, tranne se invitati da un ricco patronus. I piatti della gente comune più consumati erano: la puls (pappa di frumento), la polenta di orzo, la placenta (dolce con miele e formaggio). Le olive (olae) anche erano molto usate, soprattutto negli antipasti. Erano conosciute le ciliegie, le susine, la mela, la pera, oltre ovviamente all’uva.

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–La cena nella letteratura latina–

  • “Cena di Trimalcione”, Satyricon di Petronio:

Così finalmente ci mettemmo a tavola, con valletti di Alessandria che versavano acqua ghiaccia sulle mani, e altri che li rimpiazzavano ai piedi e con estrema precisione toglievano le pipite.
E neppure questo servizio così ingrato li faceva star zitti, ma in quel mentre cantavano.
Io volli provare se tutta la servitù cantava e chiesi allora da bere.
Lì pronto mi secondò un valletto con un gorgheggio non meno stridulo, e così ogni altro a pregarlo di qualcosa.
Sembrava un coro di pantomima, non il triclinio di un padre di famiglia.
Fu servito comunque un antipasto di gran classe, che tutti ormai erano a tavola, all’infuori di lui, Trimalcione, al quale in nuova usanza era riservato il primo posto.
Quanto al vassoio, vi campeggiava un asinello in corinzio con bisaccia, che aveva olive bianche in una tasca, nere nell’altra.
Ricoprivano l’asinello due piatti, su cui in margine stava scritto  il nome di Trimalcione e il peso dell’argento. E vi avevano saldato ancora dei ponticelli, che sostenevano ghiri cosparsi di miele e papavero.
E c’erano dei salsicciotti a sfrigolare su una graticola d’argento, e sotto la graticola susine di Siria con chicchi di melagrana.

Roberto Bompiani, dipinto, Getty Museum
Roberto Bompiani, dipinto, Getty Museum
  • Cicerone, cit.:

Il piacere dei banchetti non si deve misurare dalle squisitezze delle portate, ma dalla compagnia degli amici e dai loro discorsi.

  • Marziale (Epigrammata, X, 36):

Da te, Munnia, proviene tutto quello che è ammassato nelle nefaste celle affumicate di Marsiglia, qualsiasi vino invecchiato esponendolo al fuoco: ai miseri amici tu invii crudeli veleni attraverso gli stretti e lunghe strade; nè a buon mercato, ma a un prezzo bastante per un’anfora di Falerno o Sezia, cara per le sue cantine. Penso che il motivo che ti spinge a non venire a Roma da così lungo tempo sia questo: il non bere il tuo vino!

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By Antonio Palo

Laureato in 'Civiltà Antiche e Archeologia: Oriente e Occidente' e specializzato in 'Archeologie Classiche' presso l'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'. Fondatore e amministratore del sito 'Storia Romana e Bizantina'. Co-fondatore e presidente dell'Associazione di Produzione Cinematografica Indipendente 'ACT Production'. Fondatore e direttore artistico del Picentia Short Film Festival.

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