“Quintili Vare, legiones redde!” / La disfatta di Teutoburgo (9 d.C.)
Il grande storico Cornelio Tacito fu autore della Germania, un’opera dedicata a studiare i costumi dei popoli germanici, in cui egli individuava il vero pericolo per Roma. I tempo gli avrebbe dato ragione. Alla sua epoca, però, i Germani erano tenuti a bada dietro il limes sul Reno, che segnava il confine tra l’Impero romano e le terre dei barbari. Questo limes si era formato in seguito al disastro a cui l’esercito romano era andato incontro durante gli ultimi anni dell’Impero di Augusto.
Negli anni precedenti, infatti, i Romani erano riusciti a spingersi oltre il Reno, assoggettando buona parte delle popolazioni germaniche, sino al fiume Elba. A governare la nuova provincia della Germania fu inviato, nel 7 d.C., uno dei più fidati generali di Augusto, Publio Quintilio Varo. Il territorio sembrava pacificato. Il progetto di romanizzazione, quello solito di trasformare in cittadini i barbari, nomadi o dispersi in villaggi, mettendoli a parte delle conquiste delle civiltà mediterranee, era già avviato e sembrava che parte della popolazione germanica stesse ormai adattandosi alle nuove forme di vita. Quando però Varo divenne governatore, aumentò le tasse e cercò di imporre con la forza i cambiamenti, suscitando la reazione di buona parte delle popolazioni germaniche che preferivano la loro selvaggia libertà a una civiltà forzata. A organizzare la ribellione fu Arminio, capo della tribù dei Cherusci, il quale conosceva bene le tattiche dell’esercito romano, dove aveva combattuto come ausiliario.
Nel settembre del 9 d.C. Varo condusse l’esercito nei quartieri invernali, nel cuore della Germania, aveva al suo comando tre delle migliori legioni e numerose truppe alleate. Alcuni informatori lo avvisarono dell’insurrezione che stava maturando, ma Varo non li ascoltò. Il generale romano spinse la sua imprudenza al punto da addentrarsi per una scorciatoia che Arminio stesso gli aveva suggerito, in mezzo ai boschi e agli acquitrini della selva di Teutoburgo, senza prendere nessuna precauzione. Qui Arminio aveva preparato un’imboscata. In mezzo ai boschi, dove l’esercito romano non poteva schierarsi in battaglia, il 9 settembre del 9 d.C. i Germani attaccarono colpendo di sorpresa i fianchi della colonia romana, ritirandosi e colpendo di nuovo. Sul terreno della battaglia, recentemente scavato dagli archeologi, oltre a frammenti di ossa e di armi è stata ritrovata la base di un terrapieno costruito dai Germani per sbarrare la strada ai Romani e prenderli in trappola. In mezzo alle selve, su terreno sdrucciolevole, tra vento, scrosci di pioggia e nebbia, i Romani resistettero disperatamente due giorni, cercando di aprirsi un varco; al terzo giorno la situazione, già drammatica, precipitò Varo, vedendo impossibile la resistenza, si suicidò assieme ai suoi ufficiali e il resto dell’esercito si sfasciò. Pochi riuscirono a salvarsi, la maggior parte fu fortemente colpita o catturata: quasi tutti i prigionieri vennero torturati e sacrificati sugli altari agli dei Germani.
Quando la notizia del disastro fu portata a Roma, Augusto cadde nella disperazione: gli storici riferiscono che si aggirava “come inebetito” nel suo palazzo balbettando “Varo, rendimi le miei legioni!”. Si temette che la ribellione potesse estendersi alle Gallie; ai confini vennero mandate legioni, sotto il comando di Tiberio (il futuro imperatore) che, con una serie di battaglie vittoriose, mise alle corde i Germani, senza tuttavia riuscire a domare la ribellione. La guerra fu proseguita da suo nipote, Germanico, che sei anni dopo, nel 15 d.C., riportò l’esercito sul luogo della disfatta; Tacito racconta che si offrì agli occhi dell’esercito: “nel mezzo del campo biancheggiavano le ossa ammucchiate e disperse. Sparsi intorno sui tronchi degli alberi vi erano dei teschi umani. Nei vicini boschi si vedevano altari su cui i Germani avevano sacrificato i tribuni e i principali centurioni”. Germanico condusse varie campagne vittoriose, ma la guerra fu infine interrotta per ordine di Tiberio, nel frattempo diventato imperatore. I Romani si ritirarono oltre il Reno e lo fortificarono in attesa di una nuova offensiva che non fu mai ripresa. Il confine così rimase per sempre sul Reno. Augusto, comunque, decise di abbandonare ogni impresa ‘transfluviale’ e stabilì – come indicazione per i posteri – che il limite naturale dell’impero dovesse essere sul Danubio e sul Reno, secondo una direttiva che, a parte qualche tentativo di epoca Flavia (la creazione degli Agri Decumates) non verrà mai più abbandonata.
L’Europa continentale si divideva in due campi distinti: un campo romanizzato e latino e un campo germanico…
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