Sulla fondazione di Roma si è scritto molto, ma i dati più problematici della tradizione riguardano proprio l’episodio leggendario della fondazione della città e la figura del fondatore. Infatti è alquanto impensabile che Roma sia sorta dall’oggi al domani per una scelta individuale: la nascita della città fu piuttosto il risultato di un processo formativo lento e graduale, per la quale si deve presupporre una sorta di federazione di comunità separate che vivevano sparse sui singoli colli. Alcuni villaggi situati sul colle Palatino posso, infatti, essere considerati come il nucleo originario della futura Roma, la cui storia iniziò attorno all’VIII secolo a.C.
Il Palatino, ha la forma di un grosso dado, di pianta trapezoidale, con un grande pianoro sulla sua cima. In origine presentava tre alture separate tra loro da avvallamenti, già appianati in età imperiale: la vetta principale, il Palatium, prospicente il futuro Circo Massimo; il Germalo, che guarda il Foro e il Campidoglio; e la Velia che guarda verso la valle del Colosseo.
Queste vicende delle origini di Roma si comprendono meglio se si tiene conto che essa sorgeva a ridosso del basso corso del Tevere, in una posizione di confine tra due aree etnicamente differenti, che erano sperate proprio dal corso del fiume: la zona etrusca e il Lazio antico (Latium vetus). Nel periodo in cui si colloca la fondazione di Roma come città (VIII-VII secolo a.C.), la differenza etnica, culturale e linguistica dei popoli, cioè Etruschi e Latini, era già nettamente definita.
Sembra improbabile che Roma abbia preso nome da un fondatore Romolo: se mai è più probabile il contrario, cioè che l’esistenza di una città chiamata Roma fece immaginare che fosse stata fondata da Romolo, l’eroe eponimo, come era accaduto per le città della storia greca. Quale sia, comunque, l’origine del nome «Roma» è difficile da stabilire, tra le possibilità, c’è quella che derivi dalla parola ruma (“mammella”, nel senso di collina), oppure da Rumon, il termine latino arcaico che indicava il fiume Tevere.
IL «MURO DI ROMOLO»
Alla fine degli anni ’80 del ‘900, gli scavi condotti sulle pendici meridionali del Palatino hanno portato alla luce i resti di una palizzata e, di un muro databili all’VIII secolo a.C. Secondo l’ipotesi dello scopritore, l’archeologo Andrea Carandini, nella palizzata si deve vedere la linea dell’originario solco di confine, detto pomerio, e nel muro arcaico in scaglie di tufo, il «muro di Romolo». A questo punto il racconto tradizionale sarebbe confermato: verso la metà dell’VIII secolo a.C. un re-sacerdote eponimo avrebbe celebrato un vero e proprio rito di fondazione tracciando con l’aratro i limiti della città.
IL POMERIO E I RITI DI FONDAZIONE
Il rito di fondazione di una città italica è descritto da Marco Terenzio Varrone, antiquario latino attivo nel I secolo a.C.:
molti fondavano nel Lazio le città secondo il rito etrusco, aggiogando cioè assieme un toro e una vacca e segnando con l’aratro il solco interno – e ciò facevano a scopo religioso nel giorno indicato dagli auspici – impiantando poi il muro e la fossa. Là dove scavavano la terra dicevano fossa e dove la gettavano, nell’interno, dicevano muro; il terreno che era al di qua di detta linea era detto «pomerio» e al di là finiscono gli auspici urbani. Cippi del pomerio si vedono ancora intorno ad Ariccia e intorno a Roma.
Da questo passo di Varrone, nella fondazione di una città, importanza fondamentale, dal punto di vista religioso, era ricoperto dal pomerio (dal latino postmoerium, ‘che si trova al di là del muro’). Il pomerio era in origine la linea sacra che ne delimitava il perimetro in corrispondenza con le mura. In un secondo momento poi servì ad indicare anche una zona di rispetto che separava le case dalle mura stesse, dove non era né consentito costruire, né seppellire, né piantare alberi.
Tuttavia il pomerio non sempre corrispondeva alle mura, in quanto tracciato secondo il rito religioso e quindi secondo gli auspici degli auguri. Le mura invece rispondevano ad esigenze di difesa in rapporto al territorio e quindi poteva capitare che fra le due cose vi era una notevole distanza.
L’area del pomerio, inoltre, era delimitata da cippi infissi nel terreno a seguito della cerimonia religiosa presieduta dal pontefice massimo. In caso di ampliamento di tale area, i vecchi cippi, in quanto oggetti sacri, venivano conservati. Difatti, un’antica disposizione prevedeva che, per estendere l’area del pomerio, fosse necessario aumentare la superficie dello Stato romano con un nuovo territorio tolto al nemico. Il pomerio in realtà non fu accresciuto sino a Silla (inizio I secolo a.C.). In età imperiale conobbe un ulteriore accrescimento e l’ultimo imperatore che lo ampliò fu Aureliano nella seconda metà del III secolo a.C.