Storia delle principali congiure (riuscite e non) della prima età imperiale (Principato).
1. Caio Giulio Cesare (Idi di Marzo 44 a.C.). Nel corso della sua ascesa politica Cesare aveva attratto su di sé gli odi della fazione repubblicana, che aveva sostenuto Pompeo nella Guerra Civile ed era stata poi perdonata, e che temeva una forma di potere “monarchica”. Coinvolti, seppur implicitamente, erano anche alcuni suoi fedelissimi, che si sentivano messi da parte dalle scelte politiche del dittatore.
Plutarco ci tramanda che Cesare fosse in qualche modo informato da un veggente, ma non vi aveva prestato molta attenzione:
Cosa ancor più straordinaria, molti dicono che un certo veggente lo preavvisò di un grande pericolo che lo minacciava alle idi di marzo, e che quando giunse quel giorno, mentre si recava al Senato, egli chiamò il veggente e disse, ridendo, “Le idi di marzo sono arrivate”; al che egli rispose, soavemente, “Sì; ma non sono ancora passate”.
L’assassinio avvenne nella Curia del Teatro di Pompeo: Cesare fu colpito da 23 pugnalate, di cui solo una piccola parte risulteranno mortali, morendo proprio sotto la statua del rivale Pompeo. La tradizione tramanda (episodio poco attendibile) che prima di morire disse la celebre frase “Anche tu Bruto, figlio mio?” a cui Bruto rispose “Così sempre ai tiranni!”. Il cesaricidio non ebbe gli effetti sperati, soprattutto nell’opinione pubblica, e i congiurati furono costretti a fuggire da Roma.
Si decise di murare la Curia in cui fu ucciso, di chiamare Parricidio le Idi di marzo e che mai in quel giorno il Senato tenesse seduta. [Svetonio]
La maggior parte dei congiurati furono vendicati da Ottaviano e Antonio, e morirono (assassinati o suicidi) tra la battaglia di Modena (43 a.C.) e quella di Filippi (42 a.C.), i restanti catturati e giustiziati. L’assassinio di Cesare accelerò il processo di smantellamento del vecchio ordinamento repubblicano.
2. Caligola (24 gennaio 41 d.C.). Il giudizio su Caligola è molto, se non totalmente, influenzato dalla storiografia filo-repubblicana dell’epoca che ne lascia descrive eccessivamente negativo: alcuni aneddoti, come quello del cavallo nominato senatore, risultano inattendibili. La cosa certa è che mise a morte numerosi esponenti del Senato e incamerò i loro beni nelle casse dello Stato, imponendo a Roma un approccio di potere di stampo orientale-ellenistico (potere tutto nelle mani del sovrano, divinizzazione).
Il giorno dell’assassinio, avvenuto presso la Casa di Tiberio sul colle Palatino, Caligola viene avvicinato da due tribuni che lo colpiscono: non muore sul colpo, tant’è vero che riesce ad alzarsi e a gridare “Sono ancora vivo!”; allora i due tribuni lo finiscono a colpi di spada e pugnale (una trentina). Suo zio Claudio, che aveva assistito al delitto, scappa ma viene preso e, con sua grande sorpresa, nominato imperatore. Lo stesso giorno muoiono assassinate anche la moglie e la figlia di Caligola. I funerali si svolgono in forma ufficiale dopo il ritorno delle sorelle del defunto imperatore (esiliate proprio da lui).
3. Nerone (9 giugno 68 d.C.). Nerone dovette affrontare nel 65 d.C. una vasta congiura (“La congiura dei Pisoni”) che coinvolgeva esponenti di varie classi sociali e di vari ambienti, da quello militare a quello letterario. L’obbiettivo della congiura era quello di eliminare Nerone in occasione dei Giochi al Circo Massimo; al suo posto sarebbe stato nominato imperatore Gaio Calpurnio Pisone.
Un primo sospetto fu dato quando la liberta Epicari tentò di convincere un ufficiale vicino a Nerone, che la denunciò (ma nessuno parlò e la liberta fu solo incarcerata). A tradire la causa pisoniana fu lo schiavo di uno dei congiurati, che andò a denunciare il padrone: da qui cominciarono una serie di interrogatori che portarono a scoprire l’intero apparato della congiura. I congiurati furono uccisi o costretti a suicidarsi: tra le personalità di spicco coinvolte sono da ricordare il generale Corbulone, i letterati Seneca, Lucano, Trasea Peto, Petronio Arbitro, oltre lo stesso Calpurnio Pisone. Epicari, al contrario dei congiurati che mano mano (con le cattive) facevano nomi e rivelazioni, fu torturata ma non fece mai nessun nome e alla fine preferì suicidarsi.
Per ringraziare gli dèi di averlo messo al corrente in tempo per salvarsi dalla congiura, Nerone costruì un tempio in onore della dea Salute, proprio nel luogo in cui il congiurato Scevino (colui che avrebbe dovuto pugnalarlo) aveva preso il pugnale. L’imperatore consacrò quel pugnale e vi incise la scritta Iovi Vindici, “a Giove Vindice”. Tre anni dopo, quando Gaio Giulio Vindice sollevò una rivolta in Gallia, quell’infausta consacrazione venne interpretata come “auspicio e presagio della futura vendetta”.
[Per la morte di Nerone, Vi rimandiamo al link: Accadde Oggi: 9 Giugno]
4. Domiziano (18 settembre 96 d.C.). Anche in questo caso l’imperatore non gradiva le intromissioni del Senato nelle sue decisioni, e una volta messa a punto la congiura, fu promesso il titolo di imperatore proprio ad un senatore, l’anziano Nerva.
Il giorno della congiura fu fatto recapitare un messaggio di una tentata congiura all’imperatore. Il messaggero, nonchè fidato uomo di Domiziano Stefano, si presentò con un braccio fasciato dicendo di essersi ferito (in realtà nelle bende avvolte aveva un pugnale). Mentre Domiziano leggeva, Stefano lo colpì al torace, ma l’imperatore reagì aggredendolo. Intervennero altri congiurati che con sette pugnalate lo uccisero.
Non tutto andò come previsto per i congiurati (a parte la nomina a imperatore di Nerva, che avverrà): intervennero subito sul luogo dell’assassinio i pretoriani che ignari della congiura uccisero gli esecutori, tra cui lo stesso Stefano. Domiziano fu dichiarato comunque hostis publicus e condannato alla damnatio memoriae.
5. Commodo (31 dicembre 192 d.C.). Commodo sopravvisse a ben due congiure. La prima (182 d.C.) nacque in ambito familiare fallì per l’incapacità dell’esecutore che prima ancora di colpirlo disse “Qui c’è il pugnale che ti spedisce il Senato”: le guardie personali dell’imperatore prontamente lo disarmarono. In seguito mandanti ed esecutori furono messi a morte, mentre le personalità indirettamente coinvolte esiliate (e poi fatte assassinare). Anche la seconda fallì in misero modo.
Quella che riuscì, la terza, vide il coinvolgimento diretto del Senato. I senatori avevano dalla loro parte la concubina preferita dell’imperatore, che lo avvelenò a cena. Commodo però si sentì appesantito dalla cena e vomitò quanto ingerito, veleno compreso. La sera stessa si provvide a corrompere Narcisso, maestro dei gladiatori, che strangolò l’imperatore. Il giorno seguente fu messa in giro la voce della morte improvvisa, e il Senato proclamò la damnatio memoriae.
Che il ricordo dell’assassino e del gladiatore sia cancellato del tutto. Lasciate che le statue dell’assassino e del gladiatore siano rovesciate. Lasciate che la memoria dell’osceno gladiatore sia completamente cancellata. Gettate il gladiatore nell’ossario. Ascolta o Cesare: lascia che l’omicida sia trascinato con un gancio, alla maniera dei nostri padri, lascia che l’assassino del Senato sia trascinato con il gancio. Più feroce di Domiziano, più turpe di Nerone. Ciò che ha fatto agli altri, sia fatto a lui stesso. Sia da salvare invece il ricordo di chi è senza colpa. Si ripristino gli onori degli innocenti, vi prego. [Historia Augusta]
Ironia della sorte, due anni dopo Settimio Severo riabilitò la figura di Commodo, che passò dalla condizione di hostis a quella di divus (con tanto di divinizzazione).