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Ambarvali

Il nome Ambarvali deriva da amb- ‘intorno’ e arvum ‘campo coltivato’. Era una festa arcaica durante la quale si pregava Marte di montare la guardia ai campi coltivati, lungo il cui perimetro si snodava una processione. Al dio si chiedeva di difendere il raccolto: «Non permettere a Flagello e Distruzione di fare incursione», «Monta la guardia» si legge nel Carmen Arvale.

Al dio si offrivano sacrifici, chiamati Suovetuarilia, durante i quali prima venivano condotti in processione e poi sgozzati tre animali, un maiale (sus), una pecora (ovis) e un toro (taurus).

Alcuni hanno visto in Marte un dio agreste, ma anche nel caso degli Ambarvali la funzione del dio è quella del combattente che lotta contro i nemici dei campi. L’ipotesi che Marte fosse un dio agreste è stata contestata da G. Dumézil in molti suoi saggi.

Ambarvali. Ritratto di Lucio Vero come Arvale (ca. 160 d.C.)
Ritratto di Lucio Vero come Arvale (ca. 160 d.C.)

Gli Ambarvalia erano legati ai Fratelli Arvali, preposti alla cura degli arva. Varrone dice: «Sono chiamati Fratelli Arvali coloro che celebrano pubblici sacrifici perché i campi portino raccolti» (De Ling. Lat. V 85). Secondo Gellio (VII 7), Acca Larenzia, la nutrice di Romolo, «ebbe dodici figli maschi, e quando gliene morì uno, Romolo prese il suo posto; crebbe come figlio di Acca e a lui e agli altri figli di Acca venne dato il nome di Fratelli Arvali. Da quell’epoca il collegio dei Fratelli Arvali rimase in numero di dodici e le insegne di quel sacerdozio sono una grande ghirlanda di spighe e bianche bende».

Alla fine della repubblica il collegio degli Arvales fu riorganizzato da Augusto, nell’ambito del suo progetto di restaurare gli antichi culti. Nel caso degli Arvales, Augusto volle promuovere il recupero delle terre rimaste incolte dopo le distruzioni delle guerre civili. Augusto scelse con grande cura il collegium degli Arvali perché la società romana vi fosse rappresentata, vi partecipò attivamente e divenne una sorta di presidente onorario.

Marte fu sostituito dalla divinità del cielo sereno che propizia i buoni raccolti, la dea Dia; Dia non era nominata nel Carmen Arvale. Anche il luogo della cerimonia fu modificato: i riti non si compivano più intorno alle terre coltivate, ma presso il bosco sacro e il santuario della dea Dia, alla quinta pietra miliare della Via Campana.

All’inizio di ogni anno gli Arvali pregavano per la prosperità dei campi e per quella dell’imperatore.

Successivamente, ai tempi di Vespasiano, i riti si svolsero sia nel santuario della dea Dia, sia a Roma nella casa del magister degli Arvali, e gli animali sacrificati erano una mucca e una scrofa.

Simone Riemma

Studente del corso in Civiltà Antiche ed Archeologia: Occidente dell'Università degli Studi di Napoli - Orientale. Sono CEO e founder dei siti: - www.storiaromanaebizantina.it assieme al mio collega dott. Antonio Palo (laurea in archeologia) - www.rekishimonogatari.it assieme alla dott.ssa Maria Rosaria Formisano (laurea magistrale in lingua e letteratura giapponese e coreana) nonché compagna di vita. Gestisco i seguenti siti: - www.ganapoletano.it per conto dell'Associazione culturale no-profit GRUPPO ARCHEOLOGICO NAPOLETANO Le mie passioni: Storia ed Archeologia, Anime e Manga.

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