Antica RomaEtà Repubblicana

La moda delle piscine di lusso nelle ville di età tardo-repubblicana

Nella tarda età repubblicana le ville furono utilizzate anche come luoghi di vacanza, dove i ricchi proprietari potevano sfoggiare tutto il loro smodato lusso e praticare costosi passatempi: una delle mode dell’epoca erano le piscine con acqua di mare, ossia delle vasche nelle quali veniva fatta confluire l’acqua marina per allevarvi al loro interno i pesci o per ricchi banchetti o anche solo per “appagare la vista”.

Mosaico con pesci dalla Casa del Fauno di Pompei; Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

La moda del vivaio personale esplose verso la fine del II secolo a.C.: i ricchi facevano a gara a chi possedeva quello più fornito di rarità. I più grandi parchi marini furono costruiti in Campania: verso il 90 a.C., Licinio Murena, che il suo nome al fatto di aver diffuso a Roma questo pesce prelibato, poi fu la volta del console Sergio Orata, che oltre a dare il suo nome all’omonimo pesce per primo costruì a Baia un allevamento di ostriche; poi la volta di altri famosi personaggi come Marcio Filippo, Ortensio Ortalo e Lucullo, contro i quali si scagliavano le invettive dei ‘moralisti’, Cicerone in testa, che li chiamava con disprezzo “aristocrazie di piscinarii“, più attenti ai loro vivai di pesci che ai problemi della Res Publica.

Varrone nel De re rustica distingue due tipi di piscine, quelle di acqua dolce e quelle di acqua salata: le prime erano le più popolari tra i Romani, mentre le seconde erano esclusivamente possedute dai nobili, che le tenevano per semplice appagamento e che vi spendevano molti soldi per mantenerle. I costi erano elevati sia per la costruzione che il riempimento con l’acqua e la manutenzione. Varrone cita (XVII, 2, 4-9) anche alcuni eccentrici proprietari di piscine, l’oratore Quinto Ortensio Ortalo e il politico Lucio Licinio Lucullo, che avevano fatto costruire delle costosissime piscine tra Bauli, nei pressi di Baia, e l’area di Napoli.


Ortensio Ortalo suscita l’ammirazione per la cura maniacale dei suoi pesci:

«Quinto Ortensio, nostro familiare, aveva fatto costruire delle costosissime piscine vicino a Bauli e io sono stato così spesso nella sua villa, da sapere che egli era sempre solito mandare a comprare il pesce per il pranzo a Pozzuoli. Non gli bastava non mangiare il pesce delle sue piscine, ma voleva dar loro da mangiare lui stesso e aveva maggior cura che le sue triglie non avessero fame di quella che io che non soffrano la fame i miei asini a Rosea; ed egli offriva il nutrimento in tutte e due le forme, nel mangiare e nel bere, al punto che spendeva per la loro alimentazione non poco più di quanto spendo io per i miei asini. Io solo con uno schiavetto, un po’ d’orzo e un po’ d’acqua di casa io tiro su i miei asini, da cui ricavo molto denaro; Ortensio aveva parecchi pescatori per fornire cibo ai pesci, e questi pescatori dovevano continuamente accumulare pesci piccoli da far mangiare a quelli più grandi. Egli inoltre era solito gettare nelle piscine del pesce salato quando il mare era in tempesta e, a causa del maltempo, il cibo per i pesci doveva offrirlo il mercato, poiché i pescatori non riuscivano a portare a riva le reti con i piccoli pesci che usa il popolo a pranzo. Ortensio sarebbe stato più propenso a tirare fuori dalla sua scuderia delle mule da trasporto e farle tenere per te come dono piuttosto che tirare fuori dalla sua piscina una triglia barbata. E dei suoi pesci ammalati non si curava meno che dei suoi servi che stavano poco bene. Così egli non si preoccupava tanto che un servo ammalato non bevesse acqua fredda di quanto si preoccupava che i suoi pesci bevessero acqua, fresca. Infatti egli diceva che Marco Lucullo era affetto da questa negligenza e disprezzava le sue piscine, perché non ne aveva di adatte per il rinnovamento dell’acqua marina e i suoi pesci vivevano in acqua stagnante in luoghi malsani.»


Più attento alla costruzione e all’ingegneristica delle sue piscine, oltre che alla cura dei pesci allevati, era invece Lucio Licinio Lucullo:

«Nei pressi di Napoli Lucio Lucullo aveva fatto perforare un monte e vi aveva fatto passare, immettendola nelle sue piscine, l’acqua del mare, in maniera che queste ricevessero il flusso marino da una parte e dall’altra, e quanto a pesca, non la cedeva a Nettuno. Sembrava infatti che per il caldo avesse fatto passare i suoi amici pesci in luoghi più freschi, come sono soliti fare i pastori dell’Apulia, che attraverso i sentieri conducono il gregge sui monti della Sabina. Mentre poi stava costruendo vicino a Baia, si lasciò prendere da tanta passione, da permettere al suo architetto di dar fondo anche a tutto il suo denaro, purché facesse un canale sotterraneo che mettesse in comunicazione le piscine col mare e vi costruisse una diga, sicché la marea potesse entrare e rifluire due volte al giorno, dal primo quarto di luna sino al novilunio successivo e rinfrescasse le piscine.»

Quadretto di natura morta con pesci ed anatre (particolare) dalla Casa del Granduca di Toscana a Pompei; Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

La fama di Lucullo fu tale che alla sua morte la collezione di pesci rari fu venduta per la strabiliante somma di 40.000 assi.

Con l’andare del tempo la piscina diventò quasi un luogo di culto: Vedio Pollione, proprietario di una villa a Posillipo, sembra che gettasse in pasto alle sue lamprede e murene gli schiavi condannati a morte (Seneca riporta che persino alla presenza di Augusto condannò a questa pena uno schiavo colpevole di aver rotto un calice di cristallo), mentre Antonia, moglie di Druso, ai pesci si era affezionata come ad un cagnolino e aveva fatto infilare degli anelli alle branchie delle sue lamprede preferite. Il poeta Marziale ci parla dei “pesci sacri” che Domiziano aveva nelle piscine della sua villa di Baia, cui accudiva personalmente.

«Ad un pescatore: che sfugga ai sacri pesci baiani. O pescatore, ti esortiamo, tieniti lontano dal lago Baiano, così che tu non ti renda colpevole. Queste onde sono abitate da pesci sacri, i quali conoscono il loro signore [l’imperatore Domiziano] e lambiscono quella mano, la più grande che vi sia al mondo: cosa in più, ognuno ha il suo nome con il quale viene chiamato dalla voce del padrone. Una volta un empio Libio nel pescare uno di quei pesci con la sua canna tremante, perse le vista, e adesso non può, accecato, vedere alcun pesce: adesso, detestando i sacri ami, siede mendicante per le rive baiane. Appena puoi vattene incolume dopo aver gettato in acqua quello che è un semplice cibo, e venera i pesci consacrati.»

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Antonio Palo

Laureato in 'Civiltà Antiche e Archeologia: Oriente e Occidente' e specializzato in 'Archeologie Classiche' presso l'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'. Fondatore e amministratore del sito 'Storia Romana e Bizantina'. Co-fondatore e presidente dell'Associazione di Produzione Cinematografica Indipendente 'ACT Production'. Fondatore e direttore artistico del Picentia Short Film Festival.

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