I rapporti di Roma con la Grecia nell’età delle guerre Puniche
Articolo a cura del prof. Giovanni Pellegrino.
Nel momento in cui Roma lottava contro il mondo ellenizzato in Oriente e contro Cartagine in Occidente si apriva completamente alla cultura straniera. Infatti i Romani dovevano constatare pur tra contrasti e resistenza che l’apporto della cultura greca era assolutamente necessario per la creazione di una cultura romana. Si può vedere proprio in questa apparente contraddizione la base della grandezza di Roma.
Una grandezza militare e politica che le permetteva di affrontare i nemici più forti e anche una grandezza culturale che mostrava consapevolezza della mancanza di basi autoctone. Da tale consapevolezza nasceva la convinzione di accelerare la sua formazione ai più alti livelli attingendo alle proposte culturali più raffinate che giungevano dal mondo greco. L’apertura del mondo culturale romano a quello greco è ormai un dato acquisito anche se non sempre in passato la critica è stata disposta ad ammetterlo. Per un lungo periodo infatti alcuni critici tra cui Mommsen hanno guardato alla letteratura romana dalle origini fino all’età cesariana come una serie di prodotti che rispecchiavano un preteso originario spirito romano. Oggi sappiamo che si trattava in realtà di una interpretazione distorta che non rende ragione del panorama storico culturale di quel periodo storico.
Tale interpretazione non coglie la differenza fondamentale tra il comportamento di Roma sul piano politico e su quello culturale. Tuttavia l’apertura al mondo greco non fu un processo indolore e senza traumi. Infatti tale processo si inserì nel cuore del dibattito e anche della lotta politica all’interno dello stato romano. In effetti la resistenza alle aperture culturali straniere era molto forte da parte di chi pensava a una possibile corruzione dei costumi romani. Il fatto è che i conservatori (la classe politica legata ai proprietari terrieri) tendevano a mantenere assolutamente intatti i vecchi rapporti economici e le istituzioni che li garantivano. Sotto la successione e l’abilità propagandistica di Catone l’orgoglio ravvivato dalle recenti vittorie militari e quasi un diffuso timore orgoglio è quasi una diffusa paura di vederle sottratte al tradizionale valore di Roma fruttarono larghi successi al partito conservatore.
D’altra parte la famiglia degli Scipioni aveva raccolto intorno a se non solo un gruppo di capaci illuminati politici ma anche il primo circolo letterario assolutamente filo ellenico. Tuttavia la famiglia degli Scipioni vacillò a più riprese sotto il peso di scandali veri o presunti. Eppure le accuse di lusso e corruzione si rivelarono il più delle volte montature propagandistiche orchestrate dai conservatori. Anche le accuse più specificatamente politiche come l’ambizione ha costituito anche a Roma una monarchia di tipo ellenistico erano prive di reale consistenza. Gli Scipioni si rendevano conto forse meglio degli altri che Roma doveva assolutamente uscire dalla dimensione ristretta di uno stato provinciale e chiuso in se stesso. Infatti i domini romani si estendevano ormai per tutto il Mediterraneo. Per far fronte a una tale situazione le istituzioni romane non dovevano irrigidirsi nelle forme della propria tradizione ma rendersi più duttili e articolate dal momento che dovevano diventare adatte a funzionare in un panorama politico–geografico tanto ampio e variegato. Non staccato da quello strettamente politico era il programma culturale portato avanti dagli Scipioni.
L’unica cultura che a quel tempo aveva mostrato di raggiungere una prospettiva universale era quella greca. Infatti la cultura greca grazie all’espansione militare di Alessandro Magno si era diffusa anche in tutto il Medio Oriente. I romani che stavano assumendo la leadership di quel mondo dovevano fare i conti con quella cultura. Pertanto per i Romani era necessario sprovincializzare i tratti ancora incerti della propria letteratura per aprirli alle suggestioni e agli interessi che provenivano dal mondo ellenico. Dobbiamo anche dire che a volte i valori propri della cultura romana si scontravano con quelli del mondo greco. I Romani davano molta importanza ad alcuni valori come ad esempio la “fides”. Fin dalle prime apparizioni di Roma sulle scenario politico-militare della penisola Italica essa si era presentata come portatrice di “fides”. Il concetto intraducibile in tutte le sue sfumature si identificava con la correttezza in ogni tipo di rapporti pubblici e privati.
A questo atteggiamento di rispetto rigoroso delle regole non faceva riscontro nella visione e nella propaganda romana un analogo atteggiamento da parte degli altri stati. Pertanto nel gergo politico e poi in quello comune “fides Punica” o fides Graeca erano sinonimi di comportamento ambiguo inaffidabilità e tradimento. Di qui la diffidenza nei confronti dello straniero una diffidenza che si basava sulla difficile distinzione tra rapporti politici e culturali. Se la rigorosa separazione tra le due sfere ha per lo più funzionato sono stati però possibili gli sconfinamenti da un campo all’altro con il conseguente sovrapporsi della politica alla cultura. La battaglia Antiscipionica dei conservatori contro la cultura greca investiva non l’aspetto puramente letterario quanto quello del pensiero e della formazione culturale dei giovani. I problemi che poneva Catone il quale a differenza di quel che dicono le fonti antiche era conoscitore profondo della cultura greca era relativo proprio all’interferenza del modello culturale greco coi valori romani quali la “fides”.
Veniva quindi presa di mira soprattutto la filosofia perché racchiudeva in se la possibilità di educare i discepoli ha valori diversi alternativi rispetto a quei pochi che costituivano il quadro valoriale dei Romani. Gli epicurei considerati con qualche fraintendimento portatori di una visione del mondo per eccellenza individualista furono sempre invisi alla classe dirigente romana. Ben prima che Cicerone desse forma ufficiale a questo ostracismo già nel 173 a.C. due di loro vennero espulsi da Roma. Scandalo suscitò anche nel 155 la predicazione dell’accademico Carneade che negava il concetto assoluto di giustizia e interpretava il mondo e la storia come predominio del più forte. Tutt’altra accoglienza ebbero gli Stoici la cui visione provvidenzialistica era compatibile con una idea di Roma quale centro non solo dei poteri ma dei valori universali. In una fase più tarda l’elaborazione di valori alternativi non trovò più la stessa resistenza a Roma.
Non molto tempo dopo infatti Terenzio propose il suo ideale di “humanitas” un ideale che egli recepiva dalla cultura greca. Al centro del concetto di humanitas non vi erano le relazioni interpersonali e le istituzioni ma l’uomo quale individuo singolo in tutti gli aspetti della sua personalità. Proprio nel concetto di humanitas andranno ricercati i nuovi valori morali e intellettuali. Proprio nel momento in cui a Roma si affermò il concetto di humanitas anche nelle varie forme letterarie l’interesse si spostò dalla nazione alle singole personalità. Questo si potrà facilmente cogliere nei generi narrativi sempre più orientati a celebrare gli uomini piuttosto che i popoli. Concludiamo l’articolo mettendo in evidenza che avverrà poco più tardi la nascita dei generi letterari “personali” come la lirica o l’elegia nei quali il poeta descriveva i propri sentimenti personali.