DI GIOVANNI PELLEGRINO · PUBBLICATO 27 MAGGIO 2010 · AGGIORNATO 24 AGOSTO 2015
Nell’impero romano i combattimenti tra gladiatori ebbero una grandissima importanza: sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista sociale, sia da quello psicologico. In questo articolo cercheremo di spiegarne le ragioni.
Per quanto riguarda l’aspetto politico un autore come Carcopino, che ha studiato molto a fondo il ruolo che rivestivano nel mondo romano tali spettacoli, sostiene che gli imperatori cercavano di organizzare spesso i combattimenti tra gladiatori per distrarre la plebe romana dai gravi problemi esistenziali che la affliggevano. In altri termini, gli spettacoli che venivano organizzati negli anfiteatri dagli imperatori servivano a dare più stabilità al potere, costituendo una potente forma di diversione e distrazione per la plebe romana, che assistendo a tali spettacoli si dimenticava completamente di problemi gravi come la disoccupazione, la difficoltà di procurarsi generi di sostentamento, il fatto di abitare in ambienti privi delle condizioni minime di igiene e dagli spazi molto ristretti. Da ultimo costituivano un mezzo per evitare che noia, depressione e disperazione spingessero gli individui appartenenti alle classi più povere a scatenare rivolte e sommosse contro gli imperatori o i loro rappresentanti.
Dunque l’allestimento degli spettacoli in questione fu un mezzo molto efficace attraverso il quale le classi dominanti distrassero le masse dai terribili problemi economici e sociali con i quali esse dovevano fare i conti nella realtà quotidiana. Le enormi somme dilapidate dagli imperatori per organizzare tali spettacoli raggiunsero spesso il risultato sperato. Infatti i combattimenti tra gladiatori affascinavano ed alienavano le masse popolari molto più degli spettacoli teatrali: la brutale violenza dei combattimenti, che spesso si susseguivano per più giornate ad intervalli brevissimi, le grida degli spettatori eccitati dalla crudeltà e la musica fragorosa che accompagnava le lotte riuscivano ad alienare le masse, che molto spesso scommettevano somme di denaro sull’esito dei vari duelli. Purtroppo la grandissima maggioranza degli spettatori si recava negli anfiteatri perché attirata dall’animalesco piacere derivante dalla vista del sangue dei gladiatori uccisi o feriti. Si trattava di un piacere sadico che certamente non faceva onore alla plebe, ma indubbiamente fa parte della natura umana provare piaceri sadici e perversi (questo purtroppo ci ha insegnato la storia e non dobbiamo pensare che solo nell’impero romano gli individui fossero attratti da tali piaceri).
Tuttavia, a parziale giustificazione della forte attrazione che la plebe romana provava nei riguardi di tali spettacoli crudeli e disumani, vogliamo mettere in evidenza che le continue frustrazioni che le classi inferiori dovevano subire praticamente ogni giorno (povertà, disoccupazione, emarginazione sociale, insopportabile pressione fiscale, governi tirannici e spietati di non pochi imperatori e mancanza di prospettive di miglioramento delle loro condizioni di vita) finiva per rendere questi individui feroci, spietati e privi di senso di umanità; come ci insegna la psicologia sociale, le continue frustrazioni fanno emergere la parte animalesca che è presente nella natura umana.
Per fare un esempio (che dimostra come nella maggior parte della plebe romana tale parte animalesca era diventata ipertrofica) riteniamo illuminanti le parole di Seneca e di Lattanzio, i quali riferiscono che spesso accadeva che gli spettatori dei combattimenti tra gladiatori provavano sdegno quando uno dei due combattenti non veniva ucciso rapidamente dall’altro. Lattanzio e Seneca attestano la straordinaria ferocia delle esclamazioni pronunciate dalla folla che assisteva all’uccisione del gladiatore, sia nei riguardi dell’ucciso sia nei riguardi di quello che lo aveva ucciso. Quando poi accadeva che, a torto o a ragione, gli spettatori di un combattimento si convincevano che i due combattenti prendevano tempo – in quanto nessuno dei due voleva uccidere l’altro e di conseguenza il loro scontro si prolungava oltre il tempo abituale – gli spettatori venivano presi da un vero e proprio raptus isterico collettivo, che li spingeva non solo ad insultare pesantemente i due gladiatori, ma anche a chiedere che entrambi, se non avessero modificato il loro atteggiamento, fossero dati in pasto alle belve feroci.
Spesso poi alla fine dei combattimenti tra gladiatori avvenivano episodi che possono essere definiti solamente fenomeni di isterismo collettivo. Molti tra coloro che avevano assistito agli spettacoli si lanciavano nell’arena per succhiare avidamente il sangue ancora caldo dei gladiatori uccisi, poiché erano convinti che fosse in grado di guarire alcune malattie. Possiamo dire che queste scene di vampirismo sui gladiatori uccisi sono veramente degne di figurare in un film dell’orrore.
Per quanto riguarda il fascino esercitato dai gladiatori sul popolo dobbiamo evidenziare che i combattimenti erano oggetto di continua discussione anche negli intervalli che trascorrevano tra uno spettacolo e l’altro. Il racconto delle imprese di alcuni gladiatori, l’uccisione di un gladiatore famoso e le dispute su quali fossero i gladiatori più valorosi erano oggetto di discussione giornaliero (come oggi i tifosi delle squadre di calcio parlano delle imprese dei loro idoli, spesso litigando con i tifosi di altre squadre). Alcuni autori cristiani riferiscono che in alcune liti sorte per questi motivi alcuni individui erano stati uccisi perché avevano messo in dubbio il valore di un determinato gladiatore.
Nel corso dei combattimenti tra gladiatori nelle arene degli anfiteatri avvenivano anche episodi che, volendo utilizzare le categorie della sociologia, possono essere definiti fenomeni di contagio psichico. Per chiarire riassumeremo un episodio significativo narrato da Agostino nelle Confessioni.
Agostino riferisce che nel periodo della sua giovinezza aveva stretto amicizia con Alipio, uomo da lui stimato per le sue grandi virtù morali e per la sua lealtà e bontà. Un giorno Alipio venne trasportato a viva forza da alcuni suoi conoscenti nell’anfiteatro, dove erano in corso combattimenti tra gladiatori. Alipio era sicuro che non si sarebbe mai fatto coinvolgere da tali spettacoli, essendo contrario ad ogni forma di violenza. Ma mentre assisteva ai combattimenti tra i gladiatori, Alipio contro la sua volontà cominciò a risentire del clima di esaltazione che esisteva all’interno dell’anfiteatro, e cominciò ad osservare con interesse le lotte tra i gladiatori. Pian piano si rese conto di provare piacere nell’osservare i sanguinosi duelli e di non avvertire alcun turbamento nel momento in cui assistette all’uccisione di gladiatori.
Questo episodio riferito da Agostino dimostra come i crudeli spettacoli che avvenivano nelle arene degli anfiteatri potevano influenzare anche gli spettatori che rigettavano la violenza gratuita ed erano dotati di nobili sentimenti. Ciò si può spiegare in un sol modo: all’interno degli anfiteatri, a causa del numero elevatissimo di spettatori, delle urla selvagge e del potere che la musica che accompagnava gli spettacoli aveva sulla mente degli spettatori, si scatenavano fenomeni di contagio psichico così violenti da condizionare chiunque, cosicché anche il più pacifico degli individui poteva diventare un sadico che godeva nel vedere il sangue dei gladiatori uccisi.
Agostino, nel raccontare tale episodio, mette in evidenza che Alipio, immediatamente dopo aver visto il sangue dei gladiatori uccisi o feriti sparso sulla sabbia dell’arena dell’anfiteatro, aveva mutato il suo sguardo abituale assumendone uno feroce, il che dimostrava che si era divertito in maniera scellerata: sembrava quasi che la sua personalità fosse cambiata.
A questo punto riteniamo opportuno dire qualcosa sui giudizi che gli intellettuali romani davano intorno agli spettacoli che avvenivano nelle arene degli anfiteatri.
Per quanto riguarda gli intellettuali cristiani appare ampiamente scontato il fatto che essi condannavano duramente i combattimenti tra gladiatori, in quanto incompatibili con la morale e le credenze religiose cristiane.
Alcuni autori cristiani definivano i combattimenti tra gladiatori spettacoli di carattere demoniaco. Citeremo per esempio Lattanzio, che affermò che quanti si recavano negli anfiteatri per assistere con sadico piacere agli assassini dei gladiatori si dimostravano ancora peggiori, dal punto di vista morale, dei gladiatori stessi. Secondo Lattanzio neppure i gladiatori che erano stati condannati a combattere nelle arene, in quanto colpevoli di omicidi o altri gravi reati, e neppure i prigionieri di guerra, meritavano di essere condannati a morire nelle arene degli anfiteatri al solo scopo di far divertire degli spettatori crudeli e spietati, “più simili ad animali che non ad esseri umani”.
Per quanto riguarda invece gli intellettuali pagani dobbiamo dire che una parte di essi era favorevole ai combattimenti tra gladiatori mentre un’altra parte, minoritaria, condannava tali combattimenti. Tra i favorevoli citeremo Cicerone e Plinio il Giovane; tra i contrari, Seneca.
Cicerone era favorevole ai giochi dei gladiatori poiché riteneva che quando gli spettatori venivano addestrati efficacemente a sopportare il dolore e a non temere la morte. A nostro avviso risulta sorprendente che un uomo come Cicerone, dotato di principi morali e di grandi qualità intellettuali, utilizzasse un argomento così poco convincente, poiché il dolore delle ferite non era certo sopportato dagli spettatori.
Plinio il Giovane aveva espresso più volte un giudizio favorevole sui combattimenti in quanto, a suo dire, nei periodi in cui Roma non era impegnata in nessuna guerra i massacri nelle arene servivano ad aumentare il coraggio dei cittadini romani, che ammirando l’amore della gloria e il desiderio di vittoria si abituavano a loro volta a desiderare della gloria in battaglia.
Tra gli intellettuali pagani assolutamente contrari agli spettacoli è opportuno citare Seneca, uno dei più importanti filosofi romani. Seneca sosteneva che le lotte tra gladiatori andavano condannate per due motivi: in primo luogo, era sintomo di grande ferocia provare piacere nell’assistere all’uccisione dei gladiatori; in secondo luogo, tali spettacoli facevano emergere la parte animalesca insita nella natura umana, per cui oltre che crudeli e feroci erano anche dannosi. Seneca riteneva infatti che fosse da considerare degno di ammirazione ciò che rafforza la parte più nobile della natura umana e viceversa da condannare ciò che solletica la parte animalesca.
Prendiamo ora in considerazione l’atteggiamento assunto dagli imperatori nei riguardi dei combattimenti.
Gli imperatori non davano gli stessi giudizi su tali spettacoli; solo alcuni li esaltavano con enfasi. Senza dubbio uno degli imperatori che maggiormente provava piacere nell’organizzare e assistere ai combattimenti fu Nerone, che in più occasioni dimostrò un’eccitazione maniacale. Anche altri imperatori dimostrarono di gradire i combattimenti tra gladiatori. Gallieno era tanto affascinato da quegli spettacoli da ordinare che le scene più emozionanti alle quali aveva assistito venissero incise sulle monete. Altri imperatori non si limitarono a manifestare il loro gradimento in forma ufficiale, ma si impegnarono a organizzare personalmente l’allestimento dei combattimenti. Alcuni imperatori, infine, vollero che le gesta dei gladiatori più famosi fossero tramandate ai posteri per mezzo di iscrizioni.
Ci furono alcuni imperatori che invece non apprezzavano gli spettacoli. Per esempio Marco Aurelio affermò in pubblico che giudicava i ludi gladiatorii crudeli e noiosi, al punto che avrebbe voluto abolirli. Ma, come abbiamo detto in precedenza, gli imperatori si servivano degli spettacoli negli anfiteatri per ammansire il popolo. Marco Aurelio, consapevole di ciò, affidò l’incarico di organizzare gli spettacoli ai cittadini più ricchi e in alcune circostanze decise di sovvenzionare egli stesso l’allestimento degli spettacoli. Comunque, rispetto ad altri imperatori, diminuì i fondi destinati agli spettacoli. Anche Antonino Pio seguì l’esempio di Marco Aurelio, diminuendo ulteriormente i fondi.
Chiudiamo chiarendo il giudizio dato da Costantino, primo imperatore cristiano, sui giochi che avvenivano nell’arena. Subito dopo la vittoria ottennuta su Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio l’imperatore, pur essendosi già convertito al cristianesimo, assistette in maniera ufficiale ai combattimenti tra gladiatori, dimostrando così di gradire tali spettacoli. Tuttavia nel 324 promulgò una legge che aveva come scopo quello di proibire i combattimenti tra gladiatori nei periodi di tempo nei quali Roma non era impegnata in guerra. In realtà, tale legge emanata da Costantino venne applicata in maniera molto blanda e poco frequentemente, sempre per il solito motivo: anche Costantino temeva con una proibizione sistematica dei combattimenti sarebbero potute scoppiare rivolte ed insurrezioni che avrebbero messo in pericolo il suo regno.