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La spedizione di Alessandro il Molosso in Magna Grecia (334-330 a.C.)

Nel corso del IV secolo a.C. la Magna Grecia subì una continua pressione da parte delle popolazioni italiche provenienti dalle zone interne della penisola. Se la Sicilia greca si trovò a suo tempo minacciata dall’epicrazia cartaginese ed aveva trovato con essa – dopo un lungo conflitto – un punto di ‘tregua’ nell’accordo che ne determinava le aree di influenza, anche l’Italia meridionale si trovò ben presto costretta a chiedere aiuto alla madrepatria greca. Un primo intervento greco si ebbe nel 342 con l’invio di un contingente spartano a Taranto, minacciata dai Messapi, guidato dal re Archidamo III, che però nel 338 morì in battaglia nei pressi di Manduria. La sconfitta spartana rese necessaria una nuova richiesta di aiuto che questa volta non venne indirizzata alle poleis, ma all’emergente organismo monarchico macedone che con Filippo II nel frattempo aveva conquistato l’egemonia in Grecia. La richiesta di Taranto ebbe riscontro favorevole con l’invio in Italia di un esercito guidato da Alessandro il Molosso, fratello di Olimpiade (moglie di Filippo II e madre di Alessandro).

Parallelamente alla spedizione in Oriente di suo nipote Alessandro, gli attacchi del Molosso si concentrarono dapprima su Eraclea (strappata ai Greci nel 338, ora riconquistata a danno dei Lucani), poi sull’area tirrenica con l’occupazione della capitale dei Bretti, Cosenza. Avanzò nell’Apulia fin presso Arpi, e riuscì ad occupare il suo porto di Siponto, alleandosi poi con i Iapigi contro i Sanniti che li minacciavano da nord-ovest. Contro Sanniti e Lucani alleatisi contro di lui, sperando di recuperare Posidonia, già caduta in mano alle popolazioni lucane indigene, avanzò fino al Silaro (Sele) e li vinse in battaglia. Il susseguirsi dei successi, seppur effimeri, che avevano garantito una certa sicurezza alle poleis magno-greche, non ebbe però lunga durata.

«Ma la guerra mossa da Alessandro re dell’Epiro fece accorrere i Sanniti al fianco dei Lucani. Questi due popoli combatterono in battaglia contro il re che da Paestum risaliva verso l’interno. Alessandro, uscito vincitore dallo scontro, concluse un trattato di pace con i Romani. E’ dubbio che l’avrebbe rispettato, se il seguito della campagna fosse stato per lui altrettanto fortunato.» Livio, VIII, 17

Dopo aver stipulato un trattato con i Romani in funzione anti-sannitica (ancora oggi oggetto di dibattito), Alessandro il Molosso aveva ormai il pieno controllo della Magna Grecia, e aveva iniziato a contemplare la sua presenza militare in Sicilia. La posizione in cui si trovò Taranto, che lo aveva chiamato in proprio aiuto, fu per certi versi anormale: la città si trovò costretta infatti a destreggiarsi non solo con la nascente minaccia romana (vittoriosa nella prima guerra sannitica), ma anche con la potenza del Molosso, che aveva trasformato la sua campagna in difesa degli Italioti in una vera e propria guerra di conquista. Da eroe liberatore iniziò così la tragica fase discendente del Molosso: perso il sostegno di Taranto e subita la defezione di molte delle poleis italiote, egli si ritrovò ben presto isolato e senza appoggi. La disfatta del 330 fu solo l’attestazione ultima di una sconfitta quanto mai imminente: egli venne ucciso a tradimento da un esule lucano mentre cercava di ritirarsi attraversando un fiume, mentre il suo esercito veniva sconfitto da Lucani e Bretti (con cui la stessa Taranto aveva stretto rapporti) a Pandosia sul Crati.

«Egli (Il Molosso) aveva attorno di sé duecento esiliati Lucani, ai quali accordava la sua confidenza; senza pensare che una simil sorta di gente ha sempre la fede mutabile secondo la fortuna. Intanto per le piogge continue, le quali giunsero ad inondare le vallate, e a separare le altezze (colline) ne avvenne che l’esercito restò assolutamente diviso in tre bande; in guisa che l’una non poteva porgere aiuto all’altra. Due di queste bande poste sopra i due colli, nei quali non stava la persona del Re, furono all’improvviso oppresse e rotte dalla subitanea venuta ed assalto dei nemici i quali tutti poi si volsero ad assediare il Re medesimo, sul terzo colle. Ciò vedendo quei duecento esuli Lucani si affrettarono a mandare messaggi ai compatrioti per trattare della loro restituzione in patria; e, avendone ottenuto il consenso, promisero di dare nelle loro mani il re, o vivo o morto. Ma Alessandro, allora, con una sola compagnia di uomini scelti eseguì un’ardita impresa. Attaccò, corpo a corpo, il capitano dei Lucani e l’uccise; dopo di che, avendo raccolto i suoi che fuggivano dispersi, giunse ad un fiume, in cui le recenti rovine di un ponte indicavano il passaggio. Nel mentre che l’armata traversava questo guado difficile, un soldato stanco ed affamato dalla fatica, maledicendo al fiume e rimproverandogli quasi il suo nome abominando, esclamò:” Giustamente sei chiamato Acheronte!”. A questa esclamazione il Re si arrestò turbato; si ricordò del destino che gli era stato predetto; e, rimasto alquanto sospeso, ondeggiava incerto se doveva, o no, passare alla opposta riva del fiume. Allora Solimo, uno dei suoi ministri, vedendolo esitare in un pericolo così presente, gli domandò che intendeva fare, e così dicendo, gli indicò i Lucani, che cercavano di sorprenderlo. Infatti, Alessandro vedendoseli veramente arrivare in folla, non tardò a brandire la spada, e a spingere il suo cavallo per passare il fiume e già, uscito dalla profondità delle acque, era giunto nel guado sicuro, quando uno di quegli sbanditi Lucani con un dardo lo passò da un canto all’altro. Cadde da cavallo il misero col dardo infisso nella ferita, ed il fiume lo trasportò sino alle poste dei nemici. Lì il cadavere fu preso, e lacerato in una orribile maniera. Lo divisero in due parti; l’una mandarono a Cosenza, e l’altra serbarono con loro a straziarla. Frattanto che si divertivano a maltrattarlo, facendolo bersaglio a colpi di pietre e di giavellotti tirati da lontano, una donna , mescolandosi alla turba, che fuori ogni modo dalla umana rabbia incrudeliva, pregò che si facesse sosta alquanto; e, ciò fattosi, disse loro lacrimando che d’essa aveva il marito ed i figlioli prigionieri in Epiro, e come essa sperava poterli riscattare col corpo del Re, quantunque straziato e mutilo si fosse. Così finì quel gioco crudele. Quello che avanzò delle membra fu sepolto a Cosenza per cura di una sola donna: le ossa furono mandate ai nemici a Metaponto: indi trasportate in Epiro alla moglie Cleopatra, ed alla sorella Olimpiade, delle quali una fu madre di Alessandro Magno e l’altra sorella.» Livio, VIII, 24 (in Giacomo Racioppi, “Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata”).

Bibliografia. AA. VV., Alessandro il Molosso e i condottieri in Magna Grecia, “ACT XLIII, Taranto-Cosenza 26-30 settembre 2003”, Taranto 2004. A. Pontrandolfo, I Lucani, Milano 1982. P.G. Guzzo, I Brettii. Storia ed archeologia della Calabria preromana, Milano 1989. F. Mollo, Forme dell’insediamento italico nella Calabria ellenistica (IV-III sec. a.C.), in Geographia Antiqua X-XI, 2001-2002, pp. 121-129; F. Mollo, Ai Confini della Brettìa, Soveria Mannelli 2003.

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