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Valeria Messalina (25-48 d.C.)

Nel linguaggio attuale sarà capitato a tutti di sentir dire l’espressione “una messalina” e di conoscerne il significato, ossia una donna dai costumi riprovevoli e dai molti amanti, una donna immorale: proprio così è entrata nella storia – e nell’immaginario popolare – Valeria Messalina, la moglie dell’imperatore Claudio, morta all’età di ventitré anni in seguito ad uno scandalo di corte. Le notizie realmente vere su di lei sono quelle riconducibili fino al 41 d.C., anno in cui i pretoriani uccisero Caligola e proclamarono il suo marito come futuro imperatore (scelta ratificata anche dal Senato): apparteneva ad una ricca e nobile famiglia romana, e all’età di quindici anni venne data in moglie a Claudio, zio di Caligola, “famoso” per essere zoppo, timido, balbuziente e per questo beffeggiato in famiglia e a corte.

Dal 41 d.C. non vi è più nulla di così scontato: cerchiamo quindi di seguire con ordine e quanta più chiarezza. Dopo tale data le informazioni storiche sono molto probabilmente influenzate da supposizioni e calunnie che furono divulgate dagli ambienti vicini alla corte imperiale e dalle donne della famiglia dell’imperatore, non senza un qualche fondamento successivamente ingigantito ad hoc. Non è da escludere che Messalina avesse qualche “avventura” extra-coniugale. Tuttavia può sembrare, nei limiti del credibile, molto difficile la diceria (riportata da Giovenale) che ogni sera, quando il marito si addormentava, Messalina si trasferiva in un bordello dove si prostituiva sotto il falso nome di Licisca. Un’altra diceria (riportata questa volta da Cassio Dione), altrettanto leggendaria, sarebbe quella secondo la quale Messalina si prostituiva direttamente nel palazzo imperiale.

La vicenda che causò la fine di Messalina è legata alla sua relazione con Caio Silio. Come riporta Tacito, l’inizio della relazione con quest’uomo cambiò in Messalina l’idea iniziale di vivere una storia segreta, fino a manifestare apertamente e pubblicamente i suoi sentimenti.

«[Messalina] andava a casa di lui con un numeroso seguito, gli stava accanto quando usciva e lo colmava di ricchezze e di onori; infine si vedevano in casa dell’amante i servi, i liberti, tutto l’apparato della corte, come se il potere imperiale fosse già passato altrove.»

Le fonti concordano sicuramente nell’affermare che Messalina fosse innamorata del suo amante più di suo marito. Al contrario, però, esse non concordano nel definire i sentimenti di Silio, che comunque divorziò dalla sua moglie per stare con lei. Secondo Tacito Messalina era molto incerta sul da farsi, così come non sapeva se aspettare la morte di Claudio o tentare di ucciderlo lei stessa: su quest’ultima possibilità Messalina sarebbe stata comunque molto preoccupata perché temeva che Silio l’avesse abbandonata una volta ottenuto il potere. La situazione precipitò quando, in assenza del marito, recatosi ad Ostia per celebrare un sacrificio, i due amanti decisero di festeggiare pubblicamente e con il massimo sfarzo la loro unione. Ora, diversamente da Tacito, Giovenale considera questo episodio come la “condanna a morte” di Silio, ma attribuisce a Messalina l’effettiva responsabilità di questa condanna: sarebbe stata lei quella che aveva voluto il matrimonio e il suo amante non sarebbe stato nelle condizioni di poter rifiutare, perché laddove lo avesse fatto sarebbe stata la stessa Messalina ad eliminarlo “prima di sera”.

Fatto sta che, in una corte come quella giulio-claudia “normalmente” dilaniata da conflitti e intrighi, i nemici di Messalina fecero in modo che l’imperatore Claudio fosse informato dell’accaduto e, conoscendolo bene (soprattutto la sua debolezza), gli impedirono di vedere la moglie temendo che questi la perdonasse (e che poi si sarebbe vendicata dei suoi accusatori). Per i due amanti non ci fu nulla da fare: Silio fu processato e condannato a morte, mentre Messalina – nonostante una disperata supplica al marito – non riuscì a sfuggire alla morte poiché Narciso, uno dei suoi nemici, diede ordine ai suoi soldati di ucciderla dicendo loro che era stato lo stesso Claudio ad ordinarlo.

«Frattanto Messalina prolungava la sua esistenza negli orti luculliani , e scriveva suppliche, quando con ira e quando con qualche speranza: tale era la sua arroganza anche nei momenti estremi. Se Narciso non avesse affrettato la sua uccisione, sarebbe riuscita a rovesciare la rovina addosso al suo accusatore. Claudio, tornato a casa e calmato da un pranzo opportuno, appena cominciò ad accalorarsi col vino, ordinò di andare a dire a quella poveretta (dicono che usò proprio questa parola) di presentarsi l’indomani per difendere la propria causa. Sentito questo e capendo che la collera sbolliva e tornava l’amore e che, se esitavano, si doveva temere la notte vicina e il ricordo del talamo nuziale, Narciso sbottò e diede ordine ai centurioni e al tribuno che era presente, di procedere senz’altro all’esecuzione. Questo era l’ordine dell’imperatore. Il liberto Evodo ebbe l’incarico di vigilare. Costui, precipitatosi negli orti, la trovò stesa a terra, con accanto la madre Lepida che, in disaccordo con la figlia quand’era al colmo della fortuna, si era lasciata vincere dalla compassione per le sue estreme difficoltà, e cercava di persuaderla a non aspettare il carnefice. La vita era passata e non le restava altro che cercare una morte dignitosa. Ma nessun senso dell’onore c’era più in quell’animo corrotto dai piaceri: portava in lungo inutili pianti e lamenti, quando le porte vennero spalancate di colpo dai sopravvenuti e nel silenzio apparve il tribuno, mentre il liberto inveiva con molte ingiurie volgari. Allora per la prima volta Messalina intravvide la sua sorte; prese la spada e la avvicinò invano, tremando, alla gola e al petto, finché fu trafitta dal colpo del tribuno. Il corpo fu concesso alla madre.»

La reazione di Claudio, sorprendentemente, fu questa:

«A Claudio mentre banchettava fu annunciato che Messalina era morta, senza precisare se di mano propria o altrui. Claudio non fece domande, chiese una coppa e continuò il banchetto come di consueto. Neppure nei giorni seguenti diede nessun segno di gioia, di odio, di ira, di tristezza, insomma di nessun sentimento umano, vedesse gli accusatori esultare o i figli piangere. Il senato favorì la sua dimenticanza, decretando di rimuovere il nome e il ritratto di Messalina da tutti i luoghi pubblici e privati. A Narciso furono concesse le insegne di questore, ricompensa minima per chi stava al di sopra di Pallante e di Callisto.»

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