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Il petrolio e la sua storia tra antichità e medioevo

Il petrolio, nelle sue diverse forme, è conosciuto fin dall’alba della storia. La prima grande applicazione universale del petrolio fu l’illuminazione: già gli uomini primitivi impararono a bruciare dei rami resinosi facendone delle torce. La più antica testimonianza di utilizzazione del petrolio a noi conosciuta risale al IV millennio a.C. e ci è fornita da alcune statuette: i loro occhi, realizzati con scaglie di conchiglia, sono incollate con bitume (petrolio vischioso) al corpo della statua. L’utilizzo del bitume è attestato nel Vicino Oriente come legante per materiali da costruzione: le ziqqurat, ad esempio, erano edificate con mattoni saldati da uno strato di bitume, così come le mura di Babilonia, cementate con la stessa sostanza. Un’altra testimonianza ci giunge dall’episodio biblico dell’Arca di Noè – sempre di ambito vicino-orientale mesopotamico – secondo il quale Noè applicò uno strato di catrame all’Arca per renderla impermeabile.

Agli occhi degli antichi il petrolio che affiorava in superficie sembrava perciò dotato di fascino soprannaturale: a colpirli era soprattutto la possibilità del petrolio di incendiarsi e di alimentare un fuoco. Non ne fu esente dal suo fascino anche Alessandro Magno. Dopo la battaglia di Gaugamela (nei pressi di Kirkuk, odierno Iraq) Alessandro si stabilì e Babilonia e la popolazione locale lo accolse festosamente: questi scavarono per l’occasione dei piccoli fossati ai lati della strada che Alessandro avrebbe percorso e nei canali ricavati vi fecero scorrere un “liquido scuro e maleodorante”; al cadere della notte accostarono delle fiaccole alle estremità dei fossati formando così due muri di fiamme che percorrevano l’intera lunghezza della via reale. Alessandro, sorpreso e altrettanto curioso, volle subito fare un ‘esperimento’. Mentre si trovava nel bagno accompagnato da un seguito di schiavi, ordinò che uno di essi venisse innaffiato di quella “sostanza miracolosa” e avvicinato ad una torcia: il malcapitato schiavo fu subito avvolto dalle fiamme ma salvato appena in tempo dall’intervento dei presenti che lo riempirono di secchiate d’acqua.

L’ammirazione, come già detto, verso il petrolio giunse anche all’ambito divino. Ne sono un esempio i templi del fuoco perenne e le fontane del fuoco eterno. Il più importante di questi, conosciuto in tutto il mondo antico, era il santuario Surachany (VII secolo a.C.) – sacro allo zoroastrismo – che sorgeva sulla riva occidentale del Mar Caspio (precisamente sulla penisola di Apsceron): al centro del tempio quattro colonne cave reggevano una cupola, attraverso le cui cavità venivano fatti passare gas infiammabili; l’impianto di illuminazione, costituito da piccole crepe e fessure, si estendeva poi anche ai muri che circondavano l’edificio e persino al pavimento sottostante. Rinomato come tempio ‘delle fiamme miracolose che non avevano bisogno di essere alimentate’, esso attirava migliaia di fedeli che ammirati e terrorizzati vi si prosternavano. Templi simili, simili alle odierne raffinerie e torri di trivellazione, sorgevano in tutto l’Oriente.

Il petrolio, utilizzato per impiastrare, incollare, bruciare o cementare, non era però ancora giunto alla sua vocazione autentica. Un utilizzo alternativo giunse dalla medicina antica come rimedio per i mali. Gli Egiziani lo importavano per utilizzarlo nell’imbalsamazione dei morti (da qui secondo alcuni ‘mummia’ deriverebbe dal persiano ‘mum’, “bitume”). Gli abitanti dell’India lo utilizzavano per guarire piaghe e bruciature, e persino come mistura che veniva fatta ingoiare nei casi più svariati. Gli abitanti della Cina antica allo stesso modo lo vendevano come medicinale. Secondo i Romani invece guariva reumatismi, asma, gotta, raffreddore e tosse. Per quanto possa sembrare strano, la medicina antica non si sbagliò di molto: oggi infatti sono molti i medicinali derivati dal petrolio, anche se con procedimenti molto più complessi e complicati di quelli antichi.

Un uso che si diffonde rapidamente è anche quello di fare del petrolio un’arma in grado di fare la differenza a vantaggio di chi la possiede. In India si cominciò a servirsi della nafta non solo per spaventare e bruciare gli uomini e la cavalleria nemici, ma anche per distruggere le costruzioni in legno usate durante gli assedi. I Persiani, gli Arabi e i Mongoli facevano lo stesso, utilizzandolo come arma di lancio e combattimento.

I più abili ad usarlo furono i Bizantini con quello che verrà battezzato in Occidente con il nome di ‘fuoco greco’. Nel 673 la flotta musulmana guidata dal califfo Moaviah assedia la capitale dell’Impero Costantinopoli e la città sembrò sul punto di cadere. Ed è in questa occasione che il petrolio ‘salva’ Bisanzio e l’imperatore Costantino IV: l’ingegnere siro Callinico ideò dei tubi che lanciano marmitte piene di fuoco, i cui proiettili sono recipienti d’argilla o vetro ripieni di petrolio, carbone, zolfo e salnitro. Quando cadevano si infiammavano rompendosi causando una violenta esplosione accompagnata da una nuvola di fumo scuro. L’assedio musulmano si concluse così con una sonora sconfitta e una ritirata con enormi perdite da parte degli assedianti.

Il ‘fuoco greco’ e i suoi componenti rimasero segreti per un certo periodo, salvo poi finire nelle mani degli stessi Arabi che se ne impadronirono e cercarono di perfezionarlo. Una ripresa dell’utilizzo del fuoco greco si ebbe anche in Occidente a partire dal XIII secolo, ma le cosiddette ‘bocche infiammanti’ non ebbero il tempo di essere perfezionate, poiché presero il suo posto la polvere da sparo e i cannoni.

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Anche gli antichi abitanti del continente americano conoscevano da tempo immemorabile il petrolio. Gli Aztechi, oltre ad usare il petrolio (chapopotli) per dipingere o combustibile, se ne servivano per impermeabilizzare vasi e condotte d’acqua, e per farne gomme da masticare, mescolando bitume a resine profumate. Altre testimonianze della sua presenza in America, prima del suo sfruttamento intensivo, ci giungono da Olonso de Ojeda, che notò nel lago di Maracaibo delle chiazze iridescenti (in quella che è oggi una zona quasi interamente coperta da tralicci e impianti di pompaggio); mentre nel Nord America i primi accenni si hanno da parte dei primi ricercatori di salgemma.

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