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Omero e la questione omerica

La questione omerica si presenta in un primo momento legata alla storia di Ilio/Troia, ragion per cui è necessario dare innanzitutto una collocazione storico-cronologica alle vicende narrate nei poemi. Questa città fu distrutta più volte nel corso della sua storia, sia da cause naturali che cause umane (assedi e incendi): l’ultimo assedio, quello tradizionalmente identificato con la città omerica, è documentato nello strato VIIa, collocabile intorno al 1250 a.C., in epoca micenea. Nel loro movimento di espansione, iniziato nel XV secolo a.C., i Micenei raggiunsero probabilmente Troia e le coste dell’Asia Minore. Un riscontro alle contese nella regione ci è dato dalle fonti della potenza egemone ittita che cita appunto gli “Akhiyawa” (Achei). Sulla base di altri testi, come alcuni trattati, emerge che la città di Wilusa (la cui W iniziale coincide con il digamma miceneo di Wilion>Ilion) aveva stretto un’alleanza con il re ittita Muwattali II e che il nome del suo re fosse Alaksandu (molto simile all’Alessandro – Paride – omerico).

Le storie degli eroi, degli dei e dei navigatori cantate dagli aedi greci hanno quindi un fondamento di verità e un fondamento reale: nascono da imprese storiche poi modificate, ampliate ed epicizzate nel corso dei secoli di pari passo alla propria diffusione. La scoperta di Troia però non basta da sola per definire la figura di Omero, che la tradizione riporta come l’autore della saga.

La questione omerica nasce solo dopo che l’Iliade e l’Odissea hanno avuto una redazione scritta. Tramandati oralmente per tutto il “Medioevo ellenico” (1200-800 a.C.), i poemi omerici furono posti per iscritto – da uno o da più aedi, in parte o totalmente – solamente intorno alla metà dell’VIII secolo a.C., periodo nel quale in Grecia si diffuse l’uso dell’alfabeto fenicio e la prima redazione scritta dei poemi. In termini di “ufficialità”, bisognerà attendere la fine del VI secolo a.C., quando il tiranno di Atene Pisistrato (o suo figlio Ipparco) ordinarono la trascrizione dell’Iliade e dell’Odissea (561-527 a.C.). Da questo momento iniziarono a circolare moltissime edizioni per questi poemi: alcune – con le loro varianti e caratterizzazioni – furono curate delle singole poleis, altre da singoli studiosi (come quella più famosa di Aristotele, realizzata per l’allievo Alessandro Magno). Il lavoro che si presentava per i curatori era immane: bisognava infatti organizzare migliaia di versi e allo stesso tempo valutare le eventuali aggiunte della tradizione orale postuma.

Si giunse a stabilire un’edizione unanime in età ellenistica: a partire dal III secolo a.C., tutti gli studiosi di Omero si trovarono ad avere a propria disposizione un enorme patrimonio di libri e furono nelle condizioni di elaborare la prima edizione critica dei testi. Dopo un lungo lavoro di confronto, paragone, commento, valutazioni di attendibilità e autenticità gli studiosi alessandrini Zenodoto di Efeso, Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia stilarono nel III secolo a.C. la prima redazione critica dei poemi omerici: furono fissati il numero complessivo dei versi, vi fu la suddivisione in ventiquattro libri (indicati con lettere dell’alfabeto maiuscole per l’Iliade, minuscole per l’Odissea), e l’eliminazione delle parti non ritenute autentiche. Come avvenne quest’ultima analisi. I grammatici rilevarono molte contraddizioni in termini di contenuti e stile all’interno dei poemi, e proprio da alcune delle interpretazioni date nacque il dibattito sulla questione omerica. I padri della questione omerica furono proprio due grammatici alessandrini, Xenone ed Ellanico, che per primi misero in dubbio l’appartenenza omerica dell’Odissea, confermandone l’Iliade, e che furono così definiti “separatisti” (chorìzontes); lo stesso Aristarco di Samotracia, al contrario, forte della sua autorità, riuscì ad imporre da un punto di vista accademico l’appartenenza di entrambe le opere ad Omero. Le opinioni degli studiosi da questo momento furono orientate su posizioni diverse, anche se nessuno mise in dubbio l’esistenza di Omero, attribuendo ad egli almeno uno dei due poemi.

La figura di Omero fu suggestiva al punto che già nell’antichità furono redatte ben sette vite del poeta. Prima della nascita della questione omerica (prima del IV secolo a.C.) gli studiosi concordavano sulla sua reale esistenza e che questi non era altro che un poeta di professione (aedo, cantore) che si spostava di corte in corte. Altra opinione degli antichi è che Omero fosse cieco: su un’alquanto dubbia etimologia, il suo nome sarebbe un “nome parlante” che significherebbe “colui che non vede”. Un’altra opera attribuita erroneamente ad Omero, ma nell’antichità considerata autentica, l’Inno ad Apollo, contribuirà poi ad attribuire al poeta la presentazione che l’autore ne fornisce, ossa “l’uomo cieco che vive nella rocciosa Chio”: da qui l’attribuzione della patria, la Ionia asiatica, che resta tuttavia compatibile con il linguaggio dei poemi omerici (dialetto ionico-eolico). Chio, forte anche di una corporazione di aedi locali chiamati “omeridi” (richiamati idealmente alla formazione omerica) iniziò a rivendicare i natali del poeta, ma tale rivendicazione fu contesta con molte città asiatiche e greche, come Smirne, Colofone, Atene, Argo, Rodi, Salamina. Una questione già lontana agli occhi degli stessi Greci: basti pensare che Erodoto (V secolo a.C.) collocava la fioritura di Omero ed Esiodo intorno alla metà del IX secolo a.C..

Ripercorriamo ora in maniera sintetica, dal punto di vista cronologico, la questione omerica.

Nell’età antica (fino all’età romana) la critica di è sempre orientata verso una tendenza unitaria, che dava per scontato l’esistenza reale di Omero e la sua composizione almeno dell’Iliade. Così sostenevano i già citati Xenone ed Ellanico, Aristarco, Aristofane, e tanti altri (tra cui ricordiamo lo Pseudo-Longino (I secolo d.C.) del Sublime, che ne assegna la prima alla giovinezza e la seconda alla vecchiaia). La teoria si fondava sul fatto che, nonostante le contraddizioni e le incongruenze, si notava comunque un’unica mente che aveva organizzato la disposizione delle vicende.

«Fu a suo tempo una malattia dei Greci, questa di indagare su quanti fossero i rematori di Ulisse, se fosse stata scritta prima l’Iliade o l’Odissea, e se fosse opera del medesimo autore, e altre questioni di siffatto genere che, a tenersele per sé, non aggiungono nulla al puro fatto di conoscerle in silenzio e, a divulgarle, c’è il rischio di sembrare non più dotti, ma irritanti. Ecco che anche i Romani sono stati presi dalla vana passione di imparare cose superflue.» Seneca, De Brevitate Vitae, 2-3

Nell’età moderna emerge, dopo un lungo periodo di accantonamento, la questione omerica, indirizzata verso la teoria analitica: alcuni giunsero a negare persino l’esistenza di Omero, altri invece lo identificano non come l’autore unico, ma come uno degli aedi che aveva contribuito alla formazione dei poemi. Riguardo l’Iliade e l’Odissea, alcuni affermarono che non potevano essere di uno stesso autore, altri che i poemi siano nati da più aedi che hanno integrato canti preesistenti e personaggi diversi, mentre altri ancora sostenevano che essi nacquero da un’opera di un aedo a partire da un nucleo primitivo e in un secondo momento subirono l’aggiunta di altre parti. La tesi si basava pertanto sulle contraddizioni fra i passi dello stesso poema: personaggi dati per morti che ricompaiono (es. Pilemene), parti collaterali al racconto principale (Dolonia in Iliade, e Telemachia in Odissea), annunci di eventi poi omessi. Appartengono a questa categoria di critici analitici gli studiosi del ‘600, seguiti da quelli tedeschi dell”800 che diedero evidenza scientifica e filologica alla loro teoria: D’Aubignac (1664) contestò l’esistenza di Omero e ritenne che i poemi fossero un collage di canti primitivi, Gian Battista Vico (1730) considerò Omero una figura simbolica, Wolf (1795) sostenne in sostanza la tesi di D’Aubignac su basi e argomentazioni filologiche, Hermann (1832) ritenne che l’Iliade e l’Odissea derivassero da due antichissimi canti incentrati sull’ira di Achille e sul ritorno di Ulisse, Lachmann (1837-1841) identificò nell’Iliade la presenza di almeno 16 canti primitivi (“Einzellieder”), Kirchhoff (1859-1879) vide nell’Iliade il prodotto della fusione di 4 poemetti (“Kleinepen”), Wilamowitz (1848-1931) affermò che l’Iliade fosse la rielaborazione da parte di un poeta di alcuni poemetti epici e che si sarebbe poi ampliata con aggiunte successive.

Nell’età contemporanea (nel ‘900) gli studi furono totalmente rivoluzionati dall’approccio dato da Milmann Parry, che basò la sua teoria oralistica (1928-1935) sulle tecniche e sugli studi di letteratura comparata, cercando di capire soprattutto come si formarono i poemi omerici al di là delle forme e dei modi di diffusione dei contenuti. Partendo dagli studi sui cantori – contemporanei – dell’area serbo-croata, Parry identificò le tecniche (come la trasmissione orale di migliaia di versi) affini a quelle omeriche, concludendone che:

“Formule” ripetute sistematicamente furono gli epiteti fissi, i versi formulari, le scene tipiche… Sempre secondo Parry, la versione attuale del testo altro non sarebbe che una versione – una “performance” di un certo tempo, tenuta in un certo luogo – bloccata nel suo fruire della libera trasmissione orale: non esisterebbe quindi una versione definitiva, ma più versioni specifiche che nel loro confronto determinarono la versione “canonica”.

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