Non tutte le popolazioni barbariche seguivano o conoscevano le consuetudini diplomatiche romane: tra queste, la più basilare, era quella dell’immunità di cui godevano i rispettivi ambasciatori. Questa norma era quasi universalmente rispettata da tutti, tra cui anche lo stesso re unno Attila, e che questi non violò anche quando erano gli stessi ambasciatori a tramare contro di lui o a provocarlo su un eventuale assassinio. Attila in qualche modo imparò e seppe sfruttare al meglio la diplomazia, altri popoli, come gli Avari, non sembra proprio facessero affidamento su di essa.
Gli Avari non conoscevano la consuetudine dell’inviolabilità e dell’immunità delle ambascerie, e gli stessi storici romani (tra cui Menandro Protettore che scrive a riguardo) furono stupiti di questa cosa, nonostante fossero perfettamente a conoscenza della loro grande ferocia che li contraddistingueva anche presso i loro vicini. Iniziamo dunque, per rendere bene l’idea, con un esempio riguardante proprio questo caso, ossia il rapporto diplomatico, senza comuni consuetudini, tra barbari. Gli Avari, stando al racconto di Menandro, saccheggiarono e devastarono i territori degli Anti e dei loro confinanti Kutriguri (steppa a nord del Mar Nero, Chersoneso Taurico), facendo un grande bottino e prendendo in ostaggio molte persone. Il capo degli Anti decise così di recarsi personalmente in ambasciata presso gli Avari a trattare il riscatto degli ostaggi e a trovare un accordo politico con loro. Questi, tale Mezamer, credeva di avere a che fare con una popolazione che rispettasse lo ius gentium, e facendosi forza di questo si presentò agli Avari in maniera molto arrogante:
«Mezamer era un fanfarone vociante e quando raggiunse gli Avari parlò in tono molto arrogante e molto brusco. Di conseguenza un kutriguro che era amico degli Avari e aveva mire molto ostili nei confronti degli Anti, quando lo sentì esprimersi in tono arrogante inadatto ad un inviato, si rivolse al Khan, il capo supremo: “Quest’uomo è il più potente degli Anti ed è capace di resistere a qualunque nemico. Uccidilo e riuscirai a invadere la terra del nemico senza paura.” Gli Avari, persuasi da queste parole, uccisero Mezamer, senza curarsi dell’immunità degli inviati e senza tener conto della legge.»
La norma dello ius gentium non vigeva solo tra Impero romano e (alcune) popolazioni barbariche, ma anche per l’Impero sasanide. Se alcuni popoli però non lo riconoscevano, cos’è che effettivamente riconoscevano e applicavano? La risposta è alquanto incerta ma, al di fuori degli episodi storici di cui ci è giunta notizia, si può affermare che essi avessero una norma orale molto vicina a quella in uso in vari contesti tribali tipici dell’Asia centrale, basata su un rigido codice d’onore. Lo stesso “problema” che si ritrovavano i popoli più evoluti lo ebbero a loro tempo anche gli Avari nel 558, che si fecero raccomandare dagli Alani una delegazione di ambasciatori da mandare a Costantinopoli:
«Essi giunsero dagli Alani e pregarono Saronio, il loro capo, di presentarli ai Romani. Saronio informò Giustino, figlio di Germano, che all’epoca era generale delle forze della Lazica [Iagizia], sugli Avari. Giustino lo disse a Giustiniano, e l’imperatore ordinò al generale di inviare l’ambasceria degli Avari a Bisanzio.»
Anche questa ambasciata non andò del tutto nel verso giusto. Tenendo conto che gli Alani, in virtù delle relazioni che li legavano sia a loro che all’Impero, erano diplomaticamente loro “protettori” presso la corte di Costantinopoli, l’ambasciatore degli Avari si comportò non poco di meno di come si comportò il suddetto Mezamer, senza però subire da parte romana alcun provvedimento che violasse la sua immunità.
Più tardi, nel VII secolo, gli Avari diedero ancora una volta modo di far comprendere di non aver volutamente recepito lo ius gentium, ma questa volta non la passarono liscia (anche se non nell’immediato). Avendo programmato un incontro con l’imperatore Eraclio, cui sarebbero dovuti seguire festeggiamenti e corse di cavalli, il Khan degli Avari approfittò – ancora – di sfruttare la sua immunità per saccheggiare la Tracia e cercare di catturare lo stesso imperatore.
«Il Khan degli Avari si avvicinò al Muro Lungo con una massa innumerevole, dato che, come si diceva, stava per essere conclusa la pace fra Romani e Avari, e stavano per essere tenute corse di cocchi ad Eraclea. […] Attorno all’ora quarta di questo giorno del Signore [domenica 5 giugno 623] il Khan degli Avari fece un segnale con la frusta, e tutti quelli che erano con lui caricarono, penetrando nel Muro Lungo. […] I suoi uomini, depredarono tutti coloro che incontrarono fuori Costantinopoli, da ovest fino alla Porta d’Oro [Mura Teodosiane].»
Il tratto delle Mura Teodosiane, che supera i 60 km, lascia intendere che si trattò di un saccheggio su grande scala; queste Mura però riuscirono a garantire la salvezza di Eraclio:
«Il barbaro, violando gli accordi e i giuramenti, attaccò all’improvviso l’imperatore a tradimento. […] L’imperatore fuggì e riuscì a rientrare in città.»
Tre anni più tardi, nel 626, gli Avari si presentarono nuovamente sotto le mura di Costantinopoli ma questa volta in veste di invasori assedianti (insieme ai Persiani Sasanidi). In città vi era solo il patriarca Sergio che difese la città, dato che l’imperatore Eraclio con buona parte dell’esercito si trovava in Armenia a svernare con le truppe che avrebbero dovuto invadere l’Impero sasanide da nord. Questa volta, l’eccesso di sicurezza degli Avari fu la causa non solo di quella che fu una grande e inaspettata sconfitta, ma anche della loro stessa fine ed egemonia per mano di quelli che erano i popoli da loro sottomessi: il Khan infatti ebbe la “brillante” idea di convocare entrambi i corpi diplomatici (romani e sasanidi) nello stesso momento e riceverli proprio in contemporanea, svelando così i piani di assedio congiunto della capitale d’Oriente.
Se dal momento della loro comparsa sulla scena storica gli Avari si fecero forza della loro non-applicazione dello ius gentium, o del suo utilizzo a loro piacimento, fu forse il loro stesso ignorarlo a causarne la fine, con grande felicità di chi mal sopportava la loro ingombrante presenza…
[X]