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Le persecuzioni dei Cristiani nell’Impero romano

[immagine di copertina: Henryk Siemiradzki, Christian Dirce, olio su tela]

La diffusione del Cristianesimo, se da un lato fu molto rapida, dall’altro fu intrisa di sanguinose persecuzioni da parte di molti imperatori che pretendevano il culto divino. A loro infatti erano dedicati templi e altari in cui si compivano sacrifici pubblici: cerimonie alle quali ovviamente i cristiani, pur professando obbedienza agli imperatori, si sottraevano poiché adoravano un solo Dio. Poiché il rifiuto di compiere sacrifici in onore agli imperatori, come pure alle altre divinità romane, era considerato reato di alto tradimento: nel 202 infatti l’imperatore Settimio Severo condannò la conversione al cristianesimo con la pena di morte.

Gli imperatori consideravano i cristiani come sovvertitori della Stato e li additavano alla popolazione come responsabili di tutte le calamità che travagliavano l’Impero poiché, con la loro religione, attiravano l’ira delle tradizionali divinità romane. Li accusavano inoltre di riti malefici, di orge incestuose e addirittura di cannibalismo. Tra i motivi delle persecuzioni c’erano però anche degli interessi economici, ovvero la confisca dei patrimoni gestiti dalle chiese e dei beni posseduti dalle famiglie ricche che si convertivano alla nuova religione.

Per ben tre secoli pertanto molte comunità cristiane furono costrette a vivere in maniera semiclandestina, riunendosi in luoghi segreti e seppellendo i loro morti in catacombe, cimiteri sotterranei utilizzati anche come luoghi di culto. Sulle loro pareti erano dipinte scene del Vecchio e del Nuovo Testamento o figure allegoriche come la vite, che richiamava Gesù, il ramoscello di ulivo, simbolo della pace, l’agnello, allusione alla purezza e allo stesso tempo alla persona di Gesù, la colomba con il ramoscello d’ulivo nel becco, indicante la speranza nella vita eterna. In simbolo più comune, usato per indicare i luoghi in cui si riunivano segretamente i cristiani, era soprattutto il pesce, il quale richiamava alla mente la figura di Gesù (miracolo dei pani e dei pesci, pesca fruttuosa, la figura di Gesù “pescatore di uomini”). In greco, infatti, pesce si dice ichtys ed è un termine le cui lettere prese singolarmente ebbero valenza di Iesous Christos Theou Hyios Soter (“Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”).

Eugene Romain Thirion, Il trionfo della fede – Martiri cristiani al tempo di Nerone nel 65 d.C., XIX sec., collezione privata

Le prime persecuzioni furono attuate nell’anno 64 da Nerone che, per allontanare da sé il sospetto dell’incendio di Roma, ne addossò la colpa ai cristiani e li abbandonò alla vendetta della popolazione. In questa occasione morirono anche San Pietro e San Paolo, l’uno crocefisso, l’altro decapitato. Tra le persecuzioni più sanguinose si ricordano quelle di Decio (250-1), Aureliano (270-5) e Diocleziano (303-6). Chi si rifiutava di rinnegare la fede cristiana, in pratica, era punito con la pena riservata ai peggiori criminali o agli schiavi macchiatisi di reato contro i propri padroni, la damnatio ad bestias, ossia dato in pasto alle belve feroci nelle arene.

La repressione di massa, tuttavia, non arrestò il proselitismo dei cristiani; anzi, di fronte all’intransigenza dei martiri, che preferivano testimoniare la loro fede con la morte, ogni persecuzione era seguita da nuove conversioni anche nella classe dirigente. Lo scrittore latino Tertulliano (155-230) così scriveva ai persecutori:

«Noi ci moltiplichiamo ogni volta che siamo mietuti da voi: il sangue dei cristiani è seme»

Nel III secolo quindi la religione cristiana rivaleggiava ormai con i vecchi culti soprattutto nei grossi centri urbani, e molti convertiti occupavano posizioni chiave nella vita politica e sociale. Gli stessi imperatori, pertanto, cominciarono a mostrarsi tolleranti e cercarono di assorbire la spinta rivoluzionaria del Cristianesimo. Nel 311 l’imperatore Galerio concesse un’indulgenza ai cristiani di Nicomedia che, a suo dire:

«…assecondando un capriccio erano stati presi dalla follia e non obbedivano più alle antiche usanze. […] In nome di tale indulgenza, essi farebbero bene a pregare il loro Dio per la Nostra salute, per quella della Repubblica e per la loro città, affinché la Repubblica possa continuare ad esistere ovunque integra e loro a vivere tranquilli nelle loro case.»

Le persecuzioni cessarono due anni dopo per ordine dell’imperatore Costantino, in seguito alla battaglia di Ponte Milvio in cui sconfisse il rivale Massenzio divenendo unico imperatore dell’Occidente. Allora, d’accordo con l’imperatore d’Oriente, Licinio, nel 313 emanò l’Editto di tolleranza di Milano, il quale riconosceva la libertà di professare la religione cristiana al pari di quelle tradizionali e stabiliva, inoltre, che fossero restituiti ai cristiani tutti i beni confiscati. L’editto così disponeva:

Il monogramma fatto di due lettere maiuscole sovrapposte, la X e la P, che corrispondono alle lettere greche K e R, cioè le due lettere iniziali di Cristo. Costantino la fece porre sul labaro delle sue legioni, a protezione e forza dei suoi soldati.

«Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto, essendoci incontrati proficuamente a Milano e avendo discusso tutti gli argomenti relativi alla pubblica utilità e sicurezza, fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità affinché sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità».

 

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