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Le invenzioni della settimana e dell'”Anno 0″

Calendario romano, affresco della villa di Nerone ad Anzio, del 60 a.C. circa.

La settimana. La diffusione della settimana come nuova forma della scansione del tempo si deve all’affermazione del cristianesimo. In realtà, l’uso di un periodo ciclico di sette giorni affondava le sue radici addirittura nelle civiltà mesopotamiche, e aveva conosciuto una certa diffusione anche nel mondo greco-romano, specialmente nella sua versione astrologica, in cui cioè ogni giorno era legato a uno dei pianeti conosciuti: Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno. Nella vita quotidiana, però, a Roma si usavano altre scansioni legate a ricorrenze fisse (per esempio le calende, che coincidevano sempre con il primo giorno del mese). La Chiesa contribuì in modo decisivo a diffondere il sistema settimanale (va ricordato, tra l’altro, che il sette è un numero sacro nella cultura ebraica), anche qui non senza qualche compromesso fra antico e nuovo, fra paganesimo e cristianesimo. Se infatti il nome sabato deriva dall’ebraico e domenica vuol dire letteralmente “giorno del dominus“, cioè del Signore, nomi come lunedì (il giorno della Luna), martedì (il giorno di Marte) ecc. conservano invece le loro denominazioni pre-cristiane, che in lingue diverse dall’italiano (specie germaniche) sono rimaste anche per il sabato e la domenica (Satur-day “giorno di Saturno”, Sun-day, “giorno del Sole”, in inglese).

Gli anni dei Romani. Nel mondo romano gli anni si indicavano normalmente con i nomi dei consoli in carica: così, per esempio, il 63 a.C. era “l’anno in cui era console Cicerone”, il 55 a.C. quello in cui lo erano Pompeo e Crasso per la seconda volta e così via. Con il tempo, si affermò un meccanismo di computo che assumeva come anno zero quello della fondazione di Roma: questa, a dire il vero, era datata diversamente dai vari storici, ma alla fine si impose su tutte la datazione proposta dall’erudito Varrone (I secolo a.C.), che fissò la nascita della città al (per noi) 753 a.C.. Di conseguenza, il 63 a.C., per riprendere l’esempio, veniva indicato con il nome dei consoli oppure come l’anno 690 “dalla fondazione di Roma”.

Dionigi il Piccolo, miniatura.

La nascita di Gesù. L’effetto più rilevante del cristianesimo sulla misurazione del tempo fu appunto l’introduzione di una divisione di tutta la storia passata centrata sulla nascita di Gesù. Intorno al 525 d.C., l’allora pontefice Giovanni I affidò al monaco Dionigi il Piccolo il compito di redigere una tabella per il calcolo della festività di Pasqua. A differenza di altre feste cristiane, infatti, la Pasqua non cade ogni anno lo stesso giorno, perché la sua collocazione nel calendario dipende dal ciclo lunare e quindi richiede, per essere fissata, un’attenta conoscenza dei movimenti astronomici, Ma Dionigi non si limitò a stabilire la data di Pasqua per i cento anni successivi: fu anche il primo a proporre di computare gli anni a partire dalla nascita di Cristo, da lui fissata al 25 dicembre dell’anno 753 di Roma (la fondazione cade così, per noi, al 753 a.C.). L’innovazione di Dionigi aveva un fortissimo valore simbolico: la nascita di Cristo diventava un vero e proprio spartiacque della storia umana, l’evento centrale che divideva definitivamente il passato in un “prima” e in un “dopo”. Peraltro la nuova scansione del tempo si affermò molto lentamente: il primo documento pubblico che utilizza la datazione di Dionigi risale all’età carolingia, mentre la Chiesa la fece propria solo verso la fine dell’Alto Medioevo. E ancora più tempo ci volle perché si diffondesse l’uso – a noi così familiare – delle espressioni “avanti Cristo” e “dopo Cristo”. Inoltre, la stessa datazione era probabilmente sbagliata per eccesso: oggi si tende a fissare la data della nascita di Gesù intorno al 7-6 a.C.. Nonostante questo, il calendario di Dionigi continua ad essere adottato in tutto il mondo occidentale.

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