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La via Domitiana, un collegamento tra Roma e Puteoli

La via prende il nome dall’imperatore Domiziano, che ne volle la realizzazione nel 95 d.C., per migliorare i collegamenti di Roma con Pozzuoli, porto metropolitano dell’Urbe.

La direttrice poi divenuta Domitiana è riconoscibile nella Via quae ab Sinuessa Puteolos ducit menzionata da Dione Cassio (Storia di Roma, XXVII). Nelle Silvae (IV, 3) Stazio, dopo l’elogio di prammatica all’imperatore Domiziano, dedica un itero paragrafo alla costruzione della strada.

L’Itinerarium Antonini la cita come Iter a Terracina Neapolim, attraverso Sinuessam, Liternum, Cumas, Puteolos. Analoghe informazioni compaiono anche nella Tabula Peutingeriana.

La via Domitiana si impostava su un percorso precedente, ma secondario e trascurato. Sin dall’antichità una direttrice collegava gli importanti centri lungo la costa; la sua rilevanza dovette aumentare con la deduzione delle coloniae maritimae, fra III e II secolo a.C. L’apertura della strada, che ricalca in parte il percorso della Fossa Neronis, rientrava nel programma flavio di potenziamento della rete viaria dell’Impero, per agevolare il rifornimento granario della capitale. Percorribile ancora alla metà del Quattrocento, attualmente il suo percorso è ricostruibile solo per alcuni tratti, a causa del continuo espandersi dell’edilizia moderna.

Itinerario

La via Domitiana

Secondo le indicazioni delle fonti, la Domitiana iniziava a Sinuessa, staccandosi dall’Appia alle Aquae Sinuessanae, nei pressi di Vignole, dove era stato eretto un arco onorario di cui non resta alcuna traccia. Il suo percorso sfruttava, verosimilmente, la sommità dell’argine verso monte della Fossa Neronis, tragitto in parte ricalcato dalla consorziale S. Paolo: sul lato a monte della moderna Domiziana (statale 7quarter), 100m a sud-est del bivio con la consorziale, è ancora visibile un tratto con basoli in calcare. La strada, attraversato il torrente Savone in località Penitelle di Mondragone, raggiungeva il Volturno per scavalcarlo con uno spettacolare e lunghissimo ponte a più arcate, citato da Stazio, di cui si è conservata una testata con fornice in laterizio, inglobata nel castello medievale di Castel Volturno. La via Domitiana proseguiva verso sud, alla volta della zona paludosa del lago di Patria, costeggiando la necropoli della colonia. Prima di arrivare a Liternum, attraversava il Clanis, l’attuale canale dei Regi Lagni, su un ponte in laterizio di età domizianea, in parte distrutto nel medioevo e successivamente ricostruito. Del manufatto originario, che doveva avere almeno sei arcate, affiora, parte di un pilastro; resti della massicciata sono visibili in località Ponte dei Diavoli, sulla riva destra. Lasciata l’area di Liternum la strada proseguiva per Cuma, costeggiando la sponda occidentale del lago di Licola, il mitico luogo dove Enea avrebbe colto il pomo d’oro da portare in dono alla regina degli Inferi, e il lago stesso. A nord dell’area urbana di Cuma la via era fiancheggiata da monumenti sepolcrali ed entrava in città dalla porta settentrionale, per poi uscirne e proseguire verso il lago d’Averno. Lasciato il lago, la via Domitiana procedeva in direzione Puteoli e dell’attuale rione Taiano: da qui raggiungeva, dopo un gomito, in parte su un terrazzamento con paramento in opera reticolata, l’estremità dell’odierno opificio Olivetti e poi, seguendo la via Vecchia Luciano, arrivava al quadrivio dell’Annunziata e all’area urbana di Pozzuoli: i suoi numerosi monumenti ancora ricordano la grandezza del porto più importante del Tirreno, il Portus Iulius, situato sul litorale antistante al lago Lucrino.

La Fossa Neronis

Tracciato della fossa Neronis a ridosso della via Domitiana (tracciato iniziale partendo dal lago di Patria)

Dopo l’incendio di Roma del 64 d.C. Nerone decise di realizzare, nell’ambito del programma per il miglioramento dei rifornimenti granari della capitale, un canale litoraneo tra Puteoli e le foci del Tevere, per evitare i disagi della navigazione per mare. Il progetto, nel quale le fonti contrarie a Nerone vedono la prova della megalomania dell’imperatore, venne affidato a due tecnici abilissimi, Celer e Severus, e fu abbandonato nel 69, a causa della rivolta di Gaio Giulio Vindice in Gallia e della successiva morte dell’imperatore, ma i resti archeologici testimoniano che era ben avviato. Da Svetonio (Nero, 31) apprendiamo che si prevedeva un canale lungo 160 miglia, tanto ampio da permettere l’incrocio di due quinqueremi. Tracce ben visibili sono, sul litorale campano, il taglio del monte Grillo e il tronco centrale del collettore di Varcaturo, tra Liternum e il lago di Patria, mentre al Savone e a Mondragone il canale era a ridosso delle dune costiere. Plinio conferma che i lavori erano a buon punto anche nella piana di Fondi. Per superare i tratti montani si suppone che fosse prevista la realizzazione di un antemurale parallelo alla costa o di dighe di protezione che fiancheggiassero il canale lungo il litorale.

Da Cuma al lago d’Averno

Tracciato della via Domitiana che passa dall’abitato di Cuma e arriva al lago d’Averno

La città di Cuma, fondata dai Calcidesi nel 730 a.C., in età preromana occupava la conca compresa tra il monte di Cuma, su cui sorgeva l’Acropoli, la collina della città bassa e le pendici occidentali del monte Grillo; l’aspetto odierno riale ai massicci interventi di fine I secolo a.C. – I d.C. La Domiziana entrava in città dalla porta settentrionale e si dirigeva verso il Foro, costeggiando l’acropoli. Oggi l’accesso all’area archeologica avviene dalla strada provinciale Cuma-Licola, che si stacca dalla Domiziana moderna; dall’ingresso degli scavi un vialetto conduce ai piedi del colle dell’acropoli, circondata da resti delle fortificazioni greche. Su tale percorso si notano, a destra, i pozzi che fungono da prese di luce per la sottostante Crypta Romana, una lunga galleria sotterranea (m 180 circa) che collegava la città bassa con il porto di Cuma, passando sotto la collina dell’acropoli in direzione est-ovest. Il cunicolo, con pareti di roccia tufacea e paramento in opera reticolata, faceva parte di un complesso sistema strategico-militare, voluto da Ottaviano e Agrippa intorno al 37 a.C., nel quadro della guerra navale contro Sesto Pompeo, per accelerare il trasferimento di uomini e mezzi in quest’area: il sistema comprendeva anche la grotta di Cocceio e la grotta della Sibilla, assicurando in tal mondo la comunicazione diretta fra il porto di Cuma e il Portus Iulius, cioè il porto militare di Pozzuoli. Sulla sinistra della Crypta si accede al famoso antro della Sibilla, posto sotto la sella che unisce l’acropoli alla collina meridionale e di recente interpretato come struttura difensiva. Il taglio nel tufo, scandito dalla luce filtrante da sei aperture sul lato occidentale, deve la caratteristica forma trapezoidale alle due fasi di realizzazione, la prima della seconda metà del IV secolo a.C., mentre l’abbassamento del piano pavimentale con un taglio verticale più stretto del precedente è successivo. La via Domitiana costeggiava l’acropoli, con i santuari di Apollo, sulla terrazza inferiore, e di Giove (forse Demetra?) su quella superiore. Arrivava all’area del Foro nel luogo contraddistinto dalle Terme del lato nord-ovest (di epoca domizianea); sul lato breve a sud si erge il Capitolium. La strada doveva poi proseguire lungo il tracciato ripreso da via Vecchia Licola in direzione dell’attuale Croce di Cuma e svoltare a destra per via Arco Felice Vecchio, fiancheggiata, nel primo tratto, dai resti delle fortificazioni di età greca (VI secolo a.C. circa). Dopo 400 m si raggiunge Arco Felice: la costruzione è inserita in una trincea tagliata nel tratto della cresta del monte Grillo, presumibilmente funzionale all’apertura della Domitiana, della quale monumentalizzava il passaggio. L’arco, che era preceduto da spiazzi su ambedue i lati, ha una luce di quasi m 6 ed è profondo m 17.80, per una larghezza complessiva di 11.84 m; due crepidini di grandi blocchi squadrati di trachite di circa 3 m per lato restringono la sede stradale sotto il fornice a m 4.45. La leggera salita in cui si sviluppa il lastricato contribuisce a dargli un notevole effetto scenografico. A breve distanza, al termine della strada, si apre l’imbocco alla grotta di Cocceio, che metteva in comunicazione la città con il lago d’Averno, sede dell’Arsenale: la galleria, attualmente non visitabile, prende il nome dal proprio costruttore, che aveva già progettato la Crypta Neapolitana (che collegata Napoli e Pozzuoli attraverso la collina di Posillipo). Scavata nel tufo del monte Grillo per circa 1 km, sul lato verso Cuma ha la volta in opera reticolata e raffinati artifici per l’illuminazione e l’aerazione. La Domitiana, lasciato l’Arco Felice, fiancheggiata da monumenti sepolcrali, attraversava l’altopiano del monte Grillo fino al ciglio del lago d’Averno, oltre il quale è visibile un tratto di massicciata in opera cementizia. Il lago, antico cratere vulcanico separato dal vicino lago Lucrino dallo sperone tufaceo del monte delle Ginestre, è costeggiato dal viale alberato della statale. Dopo circa 300 m, si incontra, sulla sinistra, il breve sentiero che porta all’ingresso di quella che la tradizione identifica come la grotta della Sibilla: scavata nel monte della Ginestra, è in realtà un camminamento sotterraneo, molto rimaneggiato, che collega le sponde dell’Averno a quelle del Lucrino. La galleria rettilinea, scavata nel tufo e priva di pozzi luce, è lunga circa 200 metri. Uno stretto sentiero non asfaltato, sulla sponda orientale del lago, consente inoltre di raggiungere le rovine del cosiddetto tempio di Apollo, in realtà una grande aula termale in opera laterizia a pianta ottagonale all’esterno e circolare all’interno, inserita, nella seconda metà del II secolo d.C., in un precedente complesso di età giulio-claudia. Con il suo diametro di 37 m è la più grande aula romana con volta a cupola dopo il Pantheon.

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