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La talassocrazia dei Vandali

Regno dei Vandali - Stemma

Il regno dei Vandali nel 526 sotto Gutemondo.

Nel 530 una rivolta di palazzo a Cartagine portò al trono Gelimero, l’ultimo re dei Vandali. Dal ritiro forzato in un angolo dell’impero forse poté riflettere sul motivo che portò il nome del suo popolo a diventare sinonimo di distruzione e di caos.

Un secolo prima, i Vandali avevano attraversato lo Stretto di Gibilterra da Tarifa e avevano occupato la Mauretania, portando così a termine una massiccia migrazione dalla Grande Pianura ungherese fino alla punta meridionale della Penisola Iberica (quasi 2.500 km), che, tra le altre cose, li aveva portati ad attraversare il Reno nella notte di San Silvestro del 406. Ai tempi, i Vandali erano comandati dal re asdingo Genserico (428-477). La distanza, combinata con la pesante ostilità delle truppe romane, aveva reso lo spostamento estremamente traumatico per tutti loro, anche quando, alla fine, riuscirono a imporsi come la nuova élite delle provincie romane più ricche del Nord Africa, dalla cultura sofisticata e dalle tradizioni meno rigide, al punto che lo storico cristiano Salviano di Marsiglia li descrisse, con estremo rigore morale, sentina vitiorum, «ricettacolo di peccati».

Il Sacco di Roma del 455 in una tela di Karl Briullov.

La rapida avanzata di Genserico in Numidia dallo sbarco del 429 fece riconciliare i generali romani, ma il potente Bonifacio subì una dura sconfitta nei pressi di Ippona, città che sant’Agostino si prodigò per difendere. Di fronte alle atrocità compiute, nel 435 l’impero firmò con lui un trattato, trasformandolo in federato e amico di Roma.

La presa di Cartagine e delle altre città fortificate, insieme alla potentissima flotta romana, gli consentì di creare una talassocrazia nel Mediterraneo occidentale, occupando le isole della Sicilia, Sardegna, Corsica e delle Baleari.

A quell’epoca, ormai, ciò che restava del popolo vandalo era un gruppo di nomadi guerrieri con ben poche cose in comune, se non il fatto di essere ariani; ciò li portò fin da subito a scontrarsi con la popolazione autoctona e, sopratutto, con i Berberi dell’entroterra. Il conflitto religioso tra donatisti e cattolici distrasse un po’ lo sguardo dei successori di Genserico dai solo obiettivi. Suo figlio Unnerico (477-484) fu un tiranno sanguinario che dichiarava guerra a tutti, in particolare ai membri della propria famiglia e ai cattolici, cui furono imposte multe elevate e una feroce persecuzione. Guntemondo (484-496), nipote di Unnerico, cercò di accattivarsi i cattolici, senza riuscirci, mentre il fratello Trasamondo (496-523) dovette soffocare le rivolte dei Berberi con una dura guerra, che si concluse con la perdita dell’entroterra della Mauretania e della Numidia, nonostante l’aiuto prestatogli dal suocero, l’ostrogoto Teodomiro: Trasamondo, infatti, aveva sposato Amalafrida, la figlia minore del monarca.

Successore al trono fu lo sciagurato figlio di Unnerico e della principessa bizantina Eudocia, Ilderico (523-530), il quale lasciò l’alleanza ostrogota, fece imprigionare Amalafrida, cercò un avvicinamento con l’impero grazie alla madre e fece infuriare tutti i suoi sudditi per i continui cambiamenti politici. Fu infine deposto grazie a una rivolta di palazzo che mise sul trono suo cugino Gelimero (530-534), l’ultimo re dei Vandali. La ribellione contro il figlio di una principessa imperiale fu il pretesto che portò l’imperatore Giustiniano a ordinare al suo esercito di avanzare contro il regno dei Vandali.

Movimenti e battaglie dei due schieramenti durante la Guerra vandalica.

Il generale Belisario fu inviato in Africa con un esercito di 10.000 fanti e 6.000 catafratti (cavalleria pesante), e una flotta di protezione. La battaglia di Ticameron fu l’inizio della fine per i Vandali; un anno dopo Gelimero si arrese. L’impero si era impossessato della potente talassocrazia dei Vandali, occupando tutte le isole che erano cadute sotto il loro dominio. Si trattò di un successo militare ottenuto con un considerevole prezzo di risorse umane e materiali.


DECADENZA E CADUTA DEL REGNO DEI VANDALI

La storia del regno dei Vandali, il cui centro fu Cartagine, fu segnata dagli scontri religiosi che avvennero tra cattolici, ariani e donatisti.

Alla morte di Genserico nel 477, i Vandali accantonarono l’arte della guerra e si dedicarono a una vita oziosa a imitazione dei patrizi romani, pur senza perdere un certo tocco barbaro in quanto a cibo e festeggiamenti. Nel giugno dell’anno 533, circa 500 navi da trasporto e 92 imbarcazioni da guerra ricevettero l’ordine dell’imperatore Giustiniano e la benedizione del patriarca di Costantinopoli e presero il mare, in direzione di Cartagine. Procopio, che faceva parte dello stato maggiore di Belisario, scrisse un vivido racconto sulla “guerra vandala”, preludio della fine del loro regno. Dopo essere sbarcati con solo 5.000 soldati di fanteria, Belisario travolse le difese improvvisate dei Vandali. Il regno scomparve in pochi giorni, anche se i soldati imperiali dovettero far fronte a un attacco delle tribù berbere che scesero dalle loro montagne. I Bizantini occuparono tutto il Nord Africa fino all’arrivo degli Arabi.

Il Regno Vandalo all’apice della sua espansione (476 d.C.)

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