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La strage servita / Il giudizio degli scrittori latini sulla spettacolarità della morte

In precedenza già abbiamo avuto modo di parlare dei vari tipi di spettacoli di età romana (Divertimenti pubblici e giochi a Roma); oggi ci soffermeremo sul pensiero degli stessi Romani in relazione alla spettacolarità della morte.

Le testimonianze pervenute sono molte, e per l’occasione riportiamo i due pareri (differenti) di Seneca e di Marziale, il primo a dir poco disgustato, il secondo ammirato.

Lo spettacolo dei gladiatores meridiani è un vero orrore a ciclo continuo: non è una lotta, ma l’esecuzione reciproca di due condannati. Tutti e due i condannati non hanno armi difensive e solo uno è armato: il combattimento era perciò di brevissima durata; poi il vincitore veniva disarmato e prendeva il posto del condannato che non poteva difendersi nell’esecuzione successiva. Gli sventurati pagano così i loro crimini: ma, dice Seneca, ci può essere condanna più efferata di assistere a scene così disumane? Eppure, la gente le ama più dei munera e delle venationes: vuole vedere subito la morte.

Per caso sono capitato in uno spettacolo di mezzogiorno, aspettandomi scherzi e battute e qualche svago con cui gli sguardi delle persone si riposino dal sangue umano. È esattamente l’opposto: tutti i combattimenti che si sono svolti prima sono stati misericordia; ora, lasciati da parte gli scherzi, sono veri e propri omicidi. Non hanno nulla con cui proteggersi;esposti al colpo con l’intero corpo non attaccano mai a vuoto. I più preferiscono questo alle coppie normali e a quelle che combattono su richiesta. Perché non dovrebbero preferirle? Non dall’elmo, non dallo scudo viene respinta l’arma. A che scopo le protezioni? A che scopo le complicazioni? Tutte queste cose sono ritardi della morte. Al mattino le persone sono mandate incontro a leoni e orsi, a mezzogiorno ai propri spettatori.Ordinano che gli uccisori siano messi di fronte a coloro che li uccideranno e preservano il vincitore per un’altra strage; il risultato finale di coloro che combattono è la morte. La faccenda si compie col ferro e col fuoco. Queste cose accadono mentre è vuota l’arena. “Ma uno ha compiuto una rapina, ha ucciso una persona.” Che dunque? poiché ha ucciso, quello ha meritato di subire questo: tu, sciagurato, che cosa hai meritato per assistere a questo spettacolo? “Uccidi, colpisci, brucia! Perché così timidamente va incontro all’arma? Perché uccide poco decisamente? Perché muore poco volentieri? Si agisca con percosse contro le ferite, ricevano reciproci colpi nei petti scoperti ed esposti.” Lo spettacolo è stato interrotto: “Intanto si sgozzino persone, perché non si stia senza fare nulla.”

Il poeta satirico Marziale scrisse una serie di componimenti, il Liber de Spectaculis, in occasione dell’inaugurazione del Colosseo (80 d.C.) sotto l’imperatore Tito. Ecco cosa scrisse:

[7] Come Prometeo legato alla rupe scitica nutrì col troppo fegato l’uccello ingordo, così offerse le viscere a un orso della Caledonia Laureolo che pendeva da una vera croce. Vivevano gli arti straziati e stillanti di sangue, ma in tutto il suo corpo non c’era più un corpo. Ebbe un giusto supplizio: aveva tagliato la gola del padre o del padrone o spogliato nella sua follia i templi dell’oro segreto o aveva accostato a te, Roma, la fiaccola orrenda. Lo scellerato vinceva i delitti antichi: e il dramma rappresentato fu la sua pena.

[Epigrammi, X,25] Quel Mucio che hai visto, nello spettacolo mattutino dell’arena, mettere la sua mano sul fuoco, se ti è sembrato che fosse un duro, un coraggioso, capace di sopportare qualsiasi cosa, allora hai il cervello del popolino di Abdera [modo di dire che significa “essere sciocco”]: infatti, se mostri ad uno la tunica impregnata di zolfo e gli dici “Bruciati la mano”, allora ci vuole più coraggio a dire “Non voglio”.

L’ammirazione per la spettacolarità delle venationes, da come si può leggere, supera la condanna morale. E tuttavia, sembra chiedersi il poeta, avrebbe mai osato una tigre, nel suo habitat naturale, assalire il terribile leone? Tra gli uomini l’animale ha imparato la ferocia…

Una tigre, splendido esemplare senza rivali dei monti Ircani [Mar Caspio], abituata a leccare la mano del domatore privo di paura, ha sbranato ferocemente un forte leone con i suoi denti furenti. Spettacolo straordinario e mai visto! Finché visse nelle profonde foreste non osò nulla dì simile; dopo che è venuta tra noi, è diventata più feroce.

L’atteggiamento prevalente di fronte al sangue e alla morte sembra fosse l’indifferenza o, nel caso delle pene capitali, il consenso. Ma occorre distinguere le pubbliche esecuzioni, ritenute meritate e perciò approvate, dai combattimenti gladiatorii e venatorii, apprezzati in quanto prove di coraggio e seguiti con grande passione dal pubblico, che aveva i propri beniamini fra i venatores quanto fra i gladiatori. Certamente la maggior parte del pubblico, inclusi molti intellettuali, traeva godimento dagli spettacoli. Del resto, si è detto come la partecipazione ai giochi fosse uno degli elementi caratterizzanti il senso di appartenenza alla cittadinanza. Solo negli spiriti più sensibili la crudeltà della gladiatura, che poteva comportare la morte dell’uomo, suscitava almeno un certo senso di malessere: la fine degli spettacoli cruenti, della gladiatura in particolare, fu il risultato di un lungo processo dovuto in parte all’influsso del pensiero cristiano.

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