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La religione romana

In copertina: Nettuno, Mosaico delle Stagioni, Palermo

La religione romana costituiva una dimensione importante dell’esistenza antica di Roma, ne modellava usi e istituzioni e ne caratterizzava nel profondo la vita pubblica e privata. La parola latina religio è di origine incerta ed è un termine di ampio significato: non aveva quasi nessun rapporto evidente con la sfera della morale, ma comprendeva piuttosto il senso del soprannaturale e del vincolo tra uomo e natura, della esistenza di forze esterne che coinvolgevano l’intera condizione umana; tali potenze invisibili permeavano la vita quotidiana, soprattutto quella domestica e quella agreste, e bisognava ottenerne l’aiuto con offerte e riti propizi. Vi erano diversi modi con cui gli uomini si potevano avvicinare a un dio: attraverso la preghiera con la quale si rivolgeva alla divinità una richiesta, attraverso il sacrificio che avrebbe indotto la divinità a soddisfare la richiesta; attraverso la divinazione, che permetteva di stabilire l’approvazione o meno del dio.

Le divinità erano molte e varie, sovrintendevano tutte le attività, dalle più importanti per la vita cittadina (gli dei erano consultati attraverso gli auspici prima di ogni iniziativa) alle più piccole e banali (operazioni agricole dalla semina al raccolto e aspetti della vita quotidiana). La dimensione religiosa quindi permeò profondamente la società romana che non conobbe distinzione tra attività pubblica (politica) e culto religioso privato. A Roma la religione finì con l’influenzare tutte le attività politiche e di conseguenza con l’essere manipolata per interessi da parte delle più potenti personalità che controllavano anche le più importanti cariche religiose. La religione si collocava all’origine stessa della città: la mitica fondazione di Roma era stata compiuta da Romolo secondo precisi rituali sacri. L’adempimento accurato degli atti di natura religiosa favoriva in tal modo il senso di obbedienza verso lo Stato. Le religione costituiva quindi un elemento fondante della Res Publica romana, divenendo la base per la convivenza civile, per le strutture sociali e per il controllo politico.

Col tempo e con i contatti con altre popolazioni, in particolar modo Greci ed Etruschi, vi fu un ampliamento dell’orizzonte divino e un conseguente aumento di divinità presenti nel pantheon romano: il fenomeno più evidente è l’identificazione tra divinità autoctone e divinità greche (ad esempio Zeus-Giove, Atena-Minerva, Era-Giunone, Artemide-Diana, Ares-Marte, Ade-Plutone ecc.); altro fenomeno è il passaggio alla raffigurazione antropomorfa di divinità che originariamente erano solo entità o forze vitali e/o naturali. Al vertice della religione romana in origine si trovava una triade di dei, Giove, Marte e Quirino, che poi divennero Giove, Giunone e Minerva (probabilmente per influsso etrusco): la triade ebbe un tempio sul Campidoglio e fu perciò conosciuta come “triade capitolina” e fu al centro delle celebrazioni più importanti.

La religione romana aveva una natura pratica e contrattuale che si manifestava soprattutto nell’uso frequenti di vota (voti), vale a dire impegni presi in nome dello Stato come un successo politico o militare, o anche da privati: impegni che portavano a sacrificare al dio protettore parti di bottini, templi, ecc. Le formule di invocazione e di preghiera e le modalità di trasmissione erano trasmesse scrupolosamente e possibilmente senza variazioni, poiché il successo della pratica religiosa dipendeva dalla correttezza dello svolgimento rituale. Mancavano veri e propri testi di argomento religioso, elemento presente invece nell’ebraismo e nel cristianesimo.

I collegi dei sacerdoti, che non erano una casta a parte della società, erano incaricati delle pratiche religiose pubbliche e di mantenere inalterati le formule e i rituali per tali pratiche.

Il più importante era il collegio dei pontefici (pontifices), presieduto da un “pontefice massimo” (pontifex maximus), che aveva il controllo supremo in materia di culto pubblico: i pontefici erano depositari sia delle norme di diritto sacro che diritto umano (avendo, nei primi secoli soprattutto, controllo della giurisprudenza); si occupavano inoltre anche della redazione del calendario ufficiale (stabilendo giorni fasti e nefasti), compilavano le liste dei magistrati e registravano in forma annalistica i principali avvenimenti. Fino al 300 a.C. solo i patrizi potevano aspirare al pontificato, a vita e non elettivo; successivamente fu aperto anche ai plebei. Il collegio comprendeva anche i Flamines, che si dedicavano al culto delle divinità: spicca tra questi il Flamen Dialis, addetto al culto di Giove, a cui era assegnato anche un posto in Senato. Dipendevano dai pontefici anche le Vestali, sacerdotesse addette al fuoco pubblico e sottoposte per la durata della loro funzione al vincolo di castità.

Importante era anche il collegio degli àuguri (augures) che interpretavano la volontà degli dei – osservando il volo degli uccelli o fenomeni celesti – per accertare la validità di atti pubblici (inauguratio): il loro ruolo fu, per il suo rilievo, oggetto di contese e strumentalizzazioni. Più recente, poiché creato in seguito all’espansione estera romana, fu il collegio dei culti di origine straniera: passò dai 2 ai 10 componenti fino ai 15 finali chiamati Duoviri/Decemviri/Quimdecimviri sacris faciundis. Degni di nota infine i fetiales “feziali”, che rappresentavano il popolo nelle “relazioni internazionali” ed erano addetti a rituali per la conclusione di un trattato o per una dichiarazione di guerra verso stranieri.

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