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La politica culturale di Augusto

Mecenate presenta le arti ad Augusto (Gianbattista Tiepolo)

Mecenate e gli intellettuali. Fra gli uomini del principe rientrava, oltre a coloro che amministravano e difendevano Roma e il suo Impero, anche una categoria speciale di collaboratori, privi di un potere politico vero e proprio, eppure capaci di orientare il pensiero di molti: gli intellettuali. Sin da quando era giovane Ottaviano si era servito di un abile cavaliere, Mecenate, per costituire una cerchia di poeti e scrittori disponibili a collaborare, attraverso la propria produzione letteraria, agli obbiettivi della sua politica. La cosa di per sé non era affatto nuova, dato che da sempre, a Roma, l’attività letteraria era stata controllata più o meno direttamente dall’élite dirigente. In questo preciso contesto storico, però, gli intellettuali venivano chiamati ad un progetto molto più ampio e suggestivo: Augusto intendeva procedere a una riforma complessiva dello Stato, della società, ma anche della stessa mentalità romana, e il sostegno che potevano fornirgli poeti e letterati attraverso le loro opere era prezioso. Nello svolgimento del suo compito, Mecenate dimostrò un ottimo fiuto, che lo portò ad intuire il talento di letterati che erano spesso al loro debutto: ad esempio Virgilio e Orazio, erano appena trentenni quando iniziarono a collaborare con il principe.

Orazio legge davanti al circolo di Mecenate, dipinto di Stefano Bakalovich, 1863

Deviazioni tollerate e deviazioni punite. Sui “suoi” autori Augusto fece una sorta di investimento a lungo termine. Proprio perché erano per lui una risorsa importante, egli chiuse un occhio sui trascorsi politici di alcuni di loro, o anche su alcune loro posizioni non “allineate” che emergevano dalle opere. Tra loro, ricordiamo Orazio, che aveva combattuto dalla parte di Bruto e Cassio, e Tito Livio, incaricato della formazione letteraria di Claudio, che esaltava l’operato di Pompeo a discapito del rivale Giulio Cesare. I rapporti tra principe e intellettuali non era però sempre “armoniosi”. Il poeta Ovidio pagò la sua esaltazione dei piaceri dell’amore (e il suo coinvolgimento in intrighi e scandali amorosi di corte) con l’esilio in una sperduta località (Tomi) sul mar Nero; allo storico Tito Labieno furono invece bruciati pubblicamente i suoi libri poiché ritenuti sgraditi; anche Virgilio fu costretto a cancellare dall’Eneide il nome dell’amico Cornelio Gallo, caduto in disgrazia presso l’imperatore e costretto al suicidio.

Le biblioteche pubbliche. Anche la creazione delle prime biblioteche pubbliche da parte di Augusto ha una duplice valenza, da un lato volta a favorire la promozione, dall’altro a controllare la letteratura stessa. Il provvedimento infatti da un lato metteva Roma al livello delle grandi capitali del mondo greco-ellenistico (Alessandria, Pergamo, Antiochia); mentre consentiva ad Augusto di assicurarsi che nelle mani del grande pubblico finissero solo testi graditi al regime.

Virgilio e Vario a casa di Mecenate, dipinto di Charles François Jalabert

Il caso dell’Eneide. Già quando Augusto era impegnato nella sottomissione della Spagna, Virgilio era impegnato nella composizione dell’Eneide, il grande poema epico di Roma. Il poema rimase incompleto con la scomparsa di Virgilio (19 a.C.), e lo stesso poeta tra le sue ultime volontà espresse il desiderio che venisse bruciata, volontà non fatta rispettare da Augusto che ne impose al contrario la pubblicazione. Al di là della bellezza stilistica, secondo Properzio in grado di superare anche l’Iliade omerica, l’opera aveva un chiaro riferimento al regime augusteo. Enea era infatti anche l’antenato di Augusto: la gens Giulia, alla quale il principe apparteneva come figlio adottivo di Cesare, faceva infatti risalire la propria origine alla dea Venere, a Enea e al figlio di questi, Iulo. L’Eneide era dunque un elogio degli antenati mitici di Augusto. Anche Augusto compare indirettamente nell’opera, quando Giove promette a Venere che tra i suoi discendenti vi sarà chi estenderà l’Impero di Roma e porrà fine alle guerre tornando come ai tempi della mitica “età dell’oro” (pace, felicità, abbondanza). L’Eneide non è solo questo (ovviamente!), ma il senso generale del poema è chiaro: la grande Roma di Augusto è il punto più alto di una storia cominciata un millennio prima e già tutta scritta nella mente degli dei…

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