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La morte di Claudio secondo gli storici Svetonio e Tacito.

13 Ottobre 54 d.C. | La morte di Claudio riportata dagli storici Svetonio e Tacito.

SVETONIO, VITE DEI CESARI

«Prima dunque che potesse andare oltre, fu prevenuto da Agrippina che, oltre questi sintomi poco rassicuranti, si vedeva accusata di numerosi crimini non solo dalla sua coscienza, ma anche dai delatori. Si è d’accordo nel dire che fu avvelenato, ma quando e da chi non si riesce a stabilire. Alcuni sostengono che fu avvelenato dall’eunuco Aloto, suo assaggiatore, quando pranzava con i sacerdoti nella cittadella; altri che il veleno gli fu somministrato, durante un banchetto dato in casa, da Agrippina stessa, che gli aveva fatto servire dei funghi manipolati, dei quali egli era ghiottissimo. Uguale disaccordo sussiste sui fatti successivi all’avvelenamento. Molti dicono che subito dopo aver assorbito il veleno divenne muto, fu tormentato da dolori per tutta la notte e morì sul far del giorno. Secondo altri inizialmente si assopì, poi il suo stomaco troppo pieno rigettò tutto quello che conteneva; allora gli si diede altro veleno, probabilmente mescolato con una poltiglia di farina, giacché, in certo senso sfinito, aveva bisogno di cibo per riprendersi, oppure con un clistere introdotto per via anale, sotto il pretesto di liberare in quel modo il suo corpo imbarazzato.

La sua morte fu tenuta nascosta fino a quando si regolò tutto quello che riguardava la successione. Così si cominciarono preghiere pubbliche come se fosse ancora ammalato, e si finse di far venire al palazzo alcuni commedianti che si diceva avesse chiesto perché lo divertissero. Morì tre giorni prima delle idi di ottobre, sotto il consolato di Asinio Marcello e di Acilio Aviola, a sessantatré anni di età, dopo tredici anni di principato. Il suo funerale fu celebrato con la consueta pompa imperiale e fu annoverato fra gli dei; Nerone però lasciò cadere e poi abolì il suo culto che fu ripreso più tardi da Vespasiano.»


TACITO, ANNALES

«Allora Agrippina, decisa da tempo al delitto, svelta ad approfittare dell’occasione offertasi e non priva certo di chi le tenesse mano, si informò sul veleno da usare: non fulmineo, perché poteva rivelare il misfatto; temeva però che, con la scelta di uno ad azione tossica lenta, Claudio potesse, scoperto l’inganno, tornare, nei momenti precedenti la morte, all’amore per il figlio. Le occorreva qualcosa di speciale, che sconvolgesse la mente senza affrettare la morte. Viene scelta un’avvelenatrice di nome Locusta, recentemente condannata per veneficio e da tempo considerata come uno degli strumenti del potere. Grazie all’abilità di quella donna, venne confezionato il veleno, che gli fu somministrato poi dall’eunuco Aloto, incaricato di portare i cibi e assaggiarli. In seguito i particolari divennero tanto notori che gli storici contemporanei poterono stabilire che il veleno venne messo su dei funghi, di cui Claudio era ghiotto, e che gli effetti tossici non furono subito intuiti, o per la stupidità di Claudio o perché ebbro. Pareva però che una diarrea provvidenziale lo avesse salvato. Perciò Agrippina, in preda al terrore e vistasi perduta, decide di affrontare l’emergenza con un gesto odioso e ricorre alla complicità, che già si era assicurata, del medico Senofonte. Questi – così si crede – fingendo di facilitare a Claudio i conati di vomito, gli introdusse in gola una penna intrisa di veleno istantaneo: bene sapeva che nei delitti di massima portata l’avvio è rischioso, ma che, una volta conclusi, c’è il premio. Si convoca intanto il senato, e consoli e sacerdoti innalzano voti per l’incolumità del principe. Ma lui, già morto, era avvolto in vesti e bende, mentre veniva data contemporanea esecuzione agli atti indispensabili ad assicurare il potere a Nerone.»

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