Anno 448 d.C. Lo storico Prisco di Panion accompagna un ufficiale romano, tale Massimino, in missione diplomatica presso gli Unni, governati dal re Attila, per conto dell’imperatore d’Oriente. Non si sa se Prisco avesse un qualche ruolo ufficiale: da quanto emerge dai suoi scritti (in parte frammentari) sembra molto probabile che avesse un ruolo di primo piano. Nel corso di questa missione Prisco ha modo di parlare con vari personaggi, di origini greche o romane, che avevano poco a che fare con il mondo unno ma che con le loro testimonianze riportate danno un’idea del pensiero romano riguardo i popoli barbari.
Prima di esporre le mire espansionistiche degli Unni, facciamo un breve passo indietro con alcune considerazioni:
I tratti di re Attila. Il sovrano unno si distingue innanzitutto per il comportamento autorevole ed eccentrico cui nemmeno l’imperatore riesce a tenerne freno: la finalità degli ambasciatori è proprio quella di “tenerlo buono” come alleato dei Romani. Nel corso delle trattative emerge un elemento fondamentale: è Attila – che riscuote l’ammirazione degli ambasciatori – ad avere in mano la situazione, è lui a scegliere i suoi interlocutori della controparte così come è sempre lui a porre veti e imporre il suo volere con la minaccia di “risolvere la questione con le armi”. Dall’altro lato Attila si mostra sempre ben disposto e gentile verso gli ambasciatori, non contravvenendo mai al ruolo rispettabile che essi ricoprivano. Aveva uno stile modesto, usava coppe e piatti di legno, vestiva in maniera semplice e non aveva decorazioni sulla spada, a differenza di molti dei suoi soldati. Non voleva terre o potere, voleva obbedienza, ma soprattutto denaro e bottini, che servivano per gestire le sue numerose e mutevoli alleanze. Ogni suo gesto quindi è dovuto al raggiungimento di determinati fini: Attila chiede ripetutamente pagamenti in oro per la non-belligeranza unna o per il riscatto di prigionieri romani catturati nelle province di confine.
I prigionieri romani e greci. Come la pensavano? Caso singolare nella storiografia dell’epoca, i prigionieri o ex prigionieri (che combattendo avevano riscattato la libertà) vengono presentati sì come nostalgici dell’Impero e della sua missione civilizzatrice, ma anche contenti della loro condizione attuale. Prisco incontra un uomo (di cui non fa il nome), greco di nascita, che lodava la vita selvaggia degli Unni. Secondo questo personaggio, la vita nell’Impero era un inferno ma non per colpa dei barbari: si era tormentati da un fisco rapace, da funzionari corrotti e da un governo inefficiente e oppressivo, che non lasciava esercitare libertà o ottenere giustizia ai suoi cittadini/sudditi. Degli Unni vengono lodati la lealtà e il coraggio che venivano premiati (tratti già presentati dallo storico Tacito nei riguardi dei popoli germanici) e soprattutto la mancanza di un sistema fiscale impietoso. Sempre lo stesso personaggio si rifiuterà di ritornare in patria, su chiamata dell’imperatore, preferendo restare in Pannonia con la sua nuova famiglia che si era costruito.
Fatte queste premesse, veniamo al punto centrale anticipato nel titolo. Aspettando di essere ricevuto da Attila, Prisco si intrattiene con altri componenti dell’ambasciata.
«Romolo, Promotus, e Romano – che era venuto dall’Italia, da Attila, come ambasciatori sulla questione delle coppe d’oro – si avvicinarono mentre stavo aspettando Onegesius. Con loro erano Rusticius, che era seguito da Costanzo, e Constanziolo, un uomo del territorio pannonico governato da Attila. Si accostarono e ci chiesero se eravamo stati licenziati o se fossimo stati costretti a rimanere. Risposi che ero ancora in attesa che le guardie lo permettessero, per ordine di Onegesius.»
Dalla conversazione emerge che uno dei progetti di Attila sarebbe quello di invadere l’Impero Persiano, un territorio già conosciuto dagli Unni, invaso tempo prima dal Caucaso e conclusosi con una ritirata in Scizia. Riportiamo integralmente il passo di Prisco:
«Egli mira, disse, a grandi risultati oltre a quelli ottenuti fin ora, e desidera andare contro i Persiani ed espandere il suo territorio in misura ancora maggiore. Quando uno di noi chiese quale strada avrebbe potuto prendere [Attila] contro i Persiani, Romolo rispose che la terra dei Medi non è separata da grande distanza rispetto alla Scizia, e che gli Unni non erano all’oscuro di questo percorso.»
«Molto tempo fa l’avevano praticato quando la fame era dilagata nel loro paese, e i Romani non li aveva fermati a causa della guerra, che stavano combattendo in quel momento. Basich e Kursich, due uomini che in seguito erano giunti a Roma per stipulare un’alleanza, essendo della famiglia reale Scita, e condottieri di una vasta orda, allora erano avanzati fin nel territorio dei Medi. Coloro che parteciparono narrarono poi di aver attraversato un paese deserto, e guadato una certa palude, che Romolo pensava fosse il Meotide [Mare d’Azov], trascorsero quindici giorni di attraversamento su alcune montagne, e così scesero nella Media. Un esercito persiano piombò su di loro mentre stavano saccheggiando e invadendo la terra, e, trovandosi più in alto di loro, riempì l’aria con di frecce in modo che, circondati e in pericolo, gli Unni dovettero battere in ritirata e fuggire attraverso le montagne. Del loro scarso bottino, la maggior parte venne recuperata dai Medi. Rimanendo vigili a causa del nemico che li inseguiva presero un’altra strada, e, dopo aver marciato … [testo perduto] … giorni dalla fiamma che sale dalla pietra sotto il mare giunsero a casa. Così, essi conobbero il paese dei Medi che non è lontano dalla Scizia.»
«Quando lo incitammo a muoversi contro i Persiani, e portare la guerra contro di loro, invece che da noi, Costanziolo rispose che temeva che, dopo aver sottomesso i Persiani con facilità, Attila sarebbe tornato come un tiranno, anziché un amico, verso di noi. Al momento gli abbiamo portato dell’oro per il bene del suo rango, ma se dovesse sottomettere i Parti, i Medi, e i Persiani, non potrebbe più sopportare il dominio dei Romani indipendente da lui, ma, considerandoli suoi servitori, potrebbe apertamente imporre condizioni dure e intollerabili su di essi. Il rango con cui viene menzionato Costanziolo era quello di generale dei Romani e maestro delle milizie, lo stesso titolo che Attila avrebbe ricevuto dall’imperatore come pretesto per giustificare il tributo; così i tributi erano stati inviati a lui, con la scusa di disposizioni militari fornite ai generali. Perciò, disse, dopo che i Medi, i Parti e i Persiani fossero [stati] sottomessi avrebbe potuto scrollarsi di dosso il titolo con cui i romani avevano voluto insignirlo e il grado con cui pensavano di averlo onorato, e li avrebbe costretti a rivolgersi a lui come imperatore, invece di generale. Anche adesso, quando era arrabbiato, era solito affermare che i suoi servi erano i generali di quel sovrano, e che lui stesso aveva un potere di pari grado rispetto agli imperatori dei Romani. Si verificherebbe, insomma, un aumento del suo potere attuale, e [tutto questo] Dio lo aveva già rivelato nel portare alla luce la spada di Ares. Questo era un oggetto sacro onorato tra i re Sciti, da quando era stato dedicato al [dio] che sovrintendeva alle guerre. Era stata nascosta in tempi antichi e poi scoperta attraverso la rivelazione di un bue.»
Fonte: Prisco di Panion – Opere (frammenti) (scaricabile in PDF, cliccare sul link).
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