[Immagine di copertina: Theodoor Rombouts (1597-1637), “Prometheus”]
La spiegazione mitica. Ben prima di poter fornire un’interpretazione scientifica dell’origine dell’uomo gli antichi cercarono di immaginare, attraverso una serie di racconti mitici, che cosa dovesse essere accaduto all’alba dell’umanità. Per noi oggi questi racconti rappresentano al massimo delle storie affascinanti, misteriose o divertenti, ma il loro valore e il loro significato non vanno commisurati al nostro punto di vista, bensì al punto di vista e alla cultura dei popoli che li hanno prodotti. Per gli antichi, i miti erano racconti dotati di un forte grado di autorevolezza, in quanto facevano parte di un sistema di pratiche religiose e di credenze tradizionali: erano racconti capaci di “spiegare” il mondo. Dunque, come e per volontà di chi sarebbe nata la specie umana? Consideriamo le risposte mitiche che a questa domanda fornirono i Greci.
I primi uomini. Secondo alcune versioni, gli uomini sarebbero nati spuntando dalla Madre Terra Gea, proprio come i frutti e gli altri esseri viventi. Anche i loro uomini cambiano da un racconto all’altro. Ora sono detti Melioi, cioè figli delle ninfe Meliadi (letteralmente “frassini”), nati dalle gocce di sangue di Urano mutilato dal figlio Crono, raccolte da Gea e fecondate nel suo seno; altrove sono chiamati Meropes, dal nome di Merops, il sovrano dell’isola di Cos che aveva reso possibile per i mortali una discendenza dal Sole. In un’altra versione ancora i mortali erano detti Myrmekes, cioè “formiche”, perché tali erano un tempo gli abitanti dell’isola di Egina, prima della trasformazione in esseri umani (la stirpe dei Mirmidoni) per opera di Zeus, che voleva alleviare la solitudine del figlio Eaco, che Zeus stesso aveva avuto da Egina. Ciò che lega tra loro queste storie delle origini è il senso della nascita comune dal seno della Madre Terra e gli uomini vengono spesso denominati “nati dalla terra”.
Prometeo e il fuoco sottratto agli dei. Un dato comune alla maggior parte dei racconti è che i primi maschi, considerati i primi esseri umani, avevano la caratteristica dell’astuzia, con la quale riuscivano spesso a ingannare perfino gli dei. In questa categoria di abili ingannatori rientra anche Prometeo, un personaggio ambiguo e misterioso, dall’identità non ben definita (ora è considerato il primo uomo, ora uno dei Titani in conflitto con Zeus, ora il simbolo stesso dell’umanità). Il nome di Prometeo si lega anche, in certi racconti, all’invenzione della tecnica del fuoco. La Teogonia del poeta greco Esiodo (VII secolo a.C.) racconta che un giorno, durante un banchetto a cui partecipavano dei e umani insieme, sorse una discussione su quale parte dell’animale dovesse essere offerta agli dei durante i sacrifici. L’astuto Prometeo scuoiò un bue, depose nella pelle scadente le carni e in un’altra sacca mise le ossa, coprendole però di grasso appetitoso; poi propose a Zeus la scelta della parte migliore. Zeus capì l’inganno ma stette al gioco e scelse la parte peggiore, le ossa solo celate dal grasso; la carne toccò agli uomini, che da allora, durante i sacrifici, bruciarono agli dei solo le ossa e si nutrirono di carne cotta. Ma l’inganno si ritrasse contro l’uomo: il dio per vendicarsi sottrasse loro il fuoco, degradandoli a creature selvatiche che si nutrivano di carne cruda. Prometeo, allora, rubò la scintilla del fuoco dall’Olimpo, la portò agli uomini in una canna cava e in questo modo riaccese i focolari umani. La punizione di Prometeo dopo il furto del fuoco dall’Olimpo fu terribile: Zeus lo incatenò a una roccia e mandò un’aquila a divorargli il fegato, che sarebbe sempre ricresciuto fino alla fine del supplizio.
La prima donna. La vendetta di Zeus – oltre la punizione verso il singolo Prometeo – non si fece attendere: il padre degli dei ordinò a Efesto, il fabbro, di plasmare una femmina di creta, ai venti di soffiarci la vita e alle dee di ornarla di tutte le più seducenti bellezze. Poi inviò sulla terra questa nuova creatura, Pandora (così chiamata perché tutti gli dei le avevano fatto dei doni, dal greco pan “tutto, e dora “doni”), che era però “un male travestito da bene”, in quanto portava con sé tutti i vizi che i Greci attribuivano alle donne. A Pandora venne infatti consegnato un vaso, in cui erano racchiusi tutti i mali e le sventure del mondo.
I mali del mondo. Prometeo mise in guardia il fratello, lo sciocco Epimeteo, rispetto a possibili ritorsioni di Zeus; ma Epimeteo dimenticò i consigli, sposò la bella Pandora e lei, vinta dalla curiosità, sollevò il coperchio del misterioso vaso, dal quale uscirono tutti i mali: malattie, sofferenze, fatica, duro lavoro, vecchiaia, morte da quel momento si diffusero tra gli uomini per tormentarli. Prima essi, felici della propria vita e immuni dalla morte, non erano molto diversi dagli dei, ma quei tragici “doni” separarono in maniera drastica e definitiva il mondo umano da quello divino. Una cosa però, era rimasta nel fondo del vaso di Pandora: la Speranza (elpìs), l’unico conforto degli uomini, capace di addolcirne la quotidiana fatica del vivere.
Attraverso questo racconto mitico, i Greci spiegavano dunque a se stessi una molteplicità di elementi fondamentali della loro cultura: l’origine degli uomini (creature che si erano separate dagli dei in seguito alla colpa di uno di loro), quella del fuoco, quella della donna e del ruolo negativo che essa – secondo i loro pregiudizi – esercitava nella società, e infine l’origine delle malattie e della morte.