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I libri nel mondo antico

Il termine “libro” ci fa immediatamente pensare ad uno degli oggetti di uso più comune, che però si fatica a pensare abbia avuto nel tempo la stessa forma con la quale di presenta oggi. Nel corso dei secoli – passando per l’invenzione della stampa, per il libro rilegato fino ai libri elettronici – il libro tradizionale ha subito notevoli mutamenti sia nel supporto che nella forma.

A Roma, fino al III secolo a.C., la scrittura era utilizzata principalmente per questioni pubbliche, come ad esempio la registrazione delle leggi: si utilizzavano quindi materiali scrittori che meno si prestavano ad deperimento come la pietra (lapis) o il piombo, sui quali i segni venivano scolpiti o incisi. Esistevano anche supporti riutilizzabili, come ad esempio le tabulae dealbatae, delle tavolette di legno imbiancate con gesso che riportavano quotidianamente gli avvenimenti più significativi della comunità, della sua vita politica e delle istituzioni cittadine.

A partire dalla conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno, in tutto il Mediterraneo il papiro divenne presto il materiale scrittorio più usato. Il foglio di papiro veniva realizzato utilizzando lo strato interno della corteccia (liber) della pianta di papiro (papyrus), che cresceva sul delta del Nilo: la parte inferiore del fusto veniva sezionata mentre la corteccia veniva rimossa al fine di asportare sottili strisce della sostanza interna (philyrae). Le strisce venivano accostate tra di loro con le fibre rivolte nella stessa direzione e ricoperte con un altro strato di strisce, le cui fibre avevano disposizione perpendicolare a quelle del primo. I due strati perpendicolari venivano poi pressati ottenendo, grazie proprio all’incrocio delle fibre, un foglio robusto e allo stesso tempo flessibile, che veniva infine raschiato e lisciato. I Romani divennero particolarmente esperti nella raschiatura e lisciatura di quello che chiamavano charta (come i Greci chiamavano il papiro, dal verbo charasso “scorticare”), per consentire una migliore resa nell’impiego della cannuccia (calamus) con cui si tracciavano i segni di inchiostro. L’inchiostro poteva essere nero (atramentum) o rosso (minium) e veniva steso sulla facciata del kollema (foglio di papiro inserito in un rotolo), in cui le fibre correvano parallele alla scrittura senza ostacolare lo scorrimento del calamus. I kollemata venivano incollati tra loro a formare una lunga striscia, che veniva conservata arrotolata: si otteneva così il rotolo (volumen, da volvo “avvolgere, arrotolare”), la forma che ebbero i libri per tutta l’antichità, fino all’introduzione del codice. I rotoli erano avvolti intorno ad un bastoncino di legno (umbilicus) e portavano un cartellino in papiro o pergamena con il titolo (titulus, index) in inchiostro rosso, ed erano conservati in contenitori di forma cilindrica che venivano posti sugli scaffali della bibliotheca.La scrittura sul rotolo era disposta in colonne (paginae) perpendicolari al lato più lungo. Il libro si leggeva da sinistra a destra (non dall’alto verso il basso come nelle pergamene medievali): il lettore svolgeva quindi il testo con la destra e lo riavvolgeva con la sinistra mano mano che completava la lettura delle colonne. Leggere un libro, per questo, si diceva librum volvere.

La possibilità di riprodurre un libro era molto limitata: non esistendo ancora tecniche di stampa, la riproduzione era di esclusiva competenza dei letterati o dei personaggi più ricchi, che avendo tempo da dedicare alle lettere, si servivano di schiavi-copisti (librarii) addetti alla copiatura di libri su rotoli vergini che venivano appositamente acquistati dalle officinae. Solo in epoca imperiale romana si sviluppò un vero e proprio commercio dei libri, con imprese commerciali e punti vendita (tabernae librariae) gestite da un bibliopola che faceva copiare e vendeva i libri su commissione. Le fasi di scrittura e lettura rendevano il rotolo piuttosto ingombrante, obbligando anche per una semplice consultazione una lettura continua integrale.

Il papiro era un materiale costoso che doveva essere necessariamente importato dall’Egitto: pertanto la pubblicazione di un libro in carta di papiro richiedeva – al pari della copia – ingenti risorse economiche. Per gli usi quotidiani (ad esempio appunti, liste, lettere, messaggi) i Romani quindi non utilizzavano il papiro, ma una tavoletta di legno (caudex o codex, “tronco”) coperta da uno strato di cera (tabula cerata, pugillaris) sulla quale venivano tracciati ((ex)arare) i segni con uno stilo appuntito (stilus, graphium); l’altra estremità dello stilo era una sorta di spatola che permetteva di cancellare e di ripristinare lo strato uniforme di cera. Le tavolette potevano essere unite da un cordoncino formando così una sorta di piccolo quaderno rilegato, i cosiddetti diptycha, triptycha, polyptycha (a seconda del numero). Le facciate, anteriore (della prima) e posteriore (dell’ultima) non venivano utilizzate, fungendo da copertina.Il codex era un ottimo strumento per gli appunti, ma poteva contenere solo testi relativamente brevi: questa tipologia di supporto scrittoria influenzò a sua volta quella del libro in papiro, che iniziò ad essere rilegato sul modello del codex di legno, avendo così più pagine e più colonne, occupando meno spazio per via del minore spessore della charta.

I crescenti costi e la minore reperibilità del papiro fecero sì che nel periodo tra il II e il III secolo d.C. esso fu soppiantato dalla pergamena (membrana), un materiale di origine animale (ottenuta da un lungo processo di lavorazione della pelle di pecora), che deve il suo nome al fatto di essere prodotto su larga scala per la prima volta nel regno di Pergamo (sotto il re Eumene) nel II secolo a.C.. Per lungo tempo essa fu poco utilizzata per via dei costi e per via del suo scarso utilizzo per quanto riguarda il riavvolgimento (cui si prestava meglio il papiro). Tuttavia la pergamena aveva dei vantaggi non indifferenti: si prestava ad essere piegata e tagliata agevolmente nel fare dei quadernetti (quaterniones, “piegati in quattro”) cuciti a formare un codex; le pagine avevano una facciata ruvida e una liscia, rispettivamente dal lato del pelo e della carne animale, ma potevano essere iscritte su entrambi i lati, raddoppiando la superficie utilizzabile rispetto ad un rotolo di papiro.

Nonostante i costi e le relative difficoltà di fabbricazione, la pergamena fu il materiale scrittorio più diffuso fino all’introduzione e al definitivo trionfo della carta.

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