Anticamente il significato principale del termine columbarium (dal latino columba, colomba) era quello di cavità in cui trovavano ricovero le colombe. Successivamente si svilupparono significati affini utilizzati però in campi differenti: in ambito nautico columbarium stava ad indicare l’apertura in cui venivano introdotti i remi delle navi, ma lo stesso termine, nel lessico architettonico, era qualificativo dell’incavo per i travi o l’alloggiamento per il deflusso delle acque del sottotetto. Nelle attestazioni epigrafiche compare solo in ambito funerario, ad indicare esclusivamente la nicchia che raccoglie le olle con le ceneri dei defunti.
Nell’accezione di monumento funerario in cui viene usata oggi nel linguaggio archeologico, la parola columbarium, con un’indebita estensione terminologica, fu gradualmente usata solo a partire dal 1727 quando l’erudito Francesco Gori pubblicò una sua opera intitolata “Monumentum sive Columbarium Libertorum et Servorum Liviae Augustae” in seguito alla scoperta, avvenuta l’anno precedente, del colombario dei servi e liberti di Livia, moglie d’Augusto. Nelle iscrizioni latine, infatti, questa tipologia architettonica è nominata ossarium, ossuarium, monumentum o sepulchrum ma mai Colombario. Da allora con il termine columbarium s’identificano i sepolcri romani simili ad una piccionaia per via dei loculi che ricoprono fittamente le pareti.
Solitamente queste costruzioni erano ipogee o parzialmente interrate, anche se non manca il fronte con la porta d’accesso sulla strada, che talora reca, murata, l’iscrizione principale con i nomi dei titolari del sepolcro.
L’interno in genere era suddiviso in una serie di ambienti, posti sullo stesso livello, indipendenti oppure comunicanti per via di corridoi, che andavano dalle camere sepolcrali ai vani destinati alla cremazione oppure alla veglia funebre.
All’interno le pareti risultavano fittamente ricoperte, per l’intera superficie, da nicchie, larghe circa 30 o 40 cm., disposte in file fino a nove piani raggiungibili mediante ballatoi con scale.
Le nicchie, destinate a contenere una o più olle, generalmente di coccio, con le ceneri del defunto, avevano forma semicircolare, quadrangolare o rettangolare. Decorazioni pittoriche scandivano la successione dei vari filari. Di frequente, le nicchie che erano aperte direttamente al piano terreno o ricavate all’interno di banconi (chiamati podia), erano chiuse da lastre dette mensae sepulcrales, mediante le quali le libagioni offerte nei riti funebri raggiungevano direttamente le ceneri dei defunti. I defunti erano identificati da iscrizioni, dipinte o graffite in spazi appositi, o incise su piccole lastre marmoree semplici, scorniciate, ansate o pseudo-ansate, applicate sia tramite fori al di sotto delle cavità oppure incassate direttamente nella muratura.
Tuttavia, se è verosimile che i colombari si diffusero in risposta al cospicuo incremento demografico, verificatosi con la Pax Augusta ristabilita dopo il periodo delle guerre civili, è tuttavia accertato che essi costituissero un’occasione non trascurabile offerta ad una classe umile, divenuta classe media nel periodo di fine repubblica – inizi impero, per allinearsi al programma augusteo, avverso all’ostentazione del lusso e delle disuguaglianze sociali e promotore di tutela del decoro urbano, attraverso una sepoltura in forme edilizie decorose, sobrie, caratterizzate anche dall’uniformità dei loculi, che offrisse garanzia di una cura della memoria nel tempo.
La committenza dei colombari era essenzialmente riconducibile a schiavi e liberti di famiglie importanti e persino dell’imperatore, riuniti in collegia, ad associazioni funerarie, ad iniziative imprenditoriali di singoli o di consorzi. Destinatari, quindi, di questa tipologia funeraria, potevano essere, oltre alle familiae servili e libertine, anche individui liberi, di estrazione modesta ma non indigente.
I monumenti destinati a schiavi e liberti della famiglia imperiale o di famiglie di grande rilievo erano caratterizzati all’interno da maggiore ricchezza decorativa per la presenza di fregi, rilievi, ornamenti pittorici e pavimenti musivi, nonché, talora, elementi decorativi marmorei quali edicole, lastre di rivestimento e ritratti, come è attestato, ad esempio, per i colombari dei liberti e degli schiavi di Livia per i quali i finanziamenti, probabilmente dovuti alla casa imperiale, furono molto consistenti.
Cronologicamente, i columbaria sono circoscrivibili fra il principato augusteo e la fine della dinastia giulio-claudia, più precisamente alla metà del I d. C., sotto Nerone.
Una battuta d’arresto si avrà con i Flavi quando la costruzione di questo tipo di sepolcri tende a cessare.
Nel II d.C., quando alla cremazione subentrò l’inumazione e si diffuse la religione cristiana, contraria all’incinerazione, i colombari, pur concepiti per il rito crematorio, furono riutilizzati e adattati a ricevere tumulazioni di cadaveri inumati. A tale scopo furono deposti all’interno degli ambienti sarcofagi e si scavarono fosse nei pavimenti. Ancora oggi nei cimiteri il colombario indica l’insieme di cellette in cui sono riposte le urne con i resti dei defunti esumati.