Quando nel V sec. a.C. Tucidide decise di assumersi l’onere di sviscerare le cause della guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), gettando inoltre le basi della storiografia moderna, riuscì a riferirsi al passato della Grecia solo in questi termini:
«Per le vicende che precedettero questa guerra, e per quelle ancora più antiche, non era possibile una ricerca accurata e attendibile, dato il lungo tempo trascorso.» [Tucidide, Libro I, 1]
Che cosa sapevano in effetti i Greci del loro passato? La conoscenza delle arkhaia, o “cose antiche”, si basava esclusivamente sui mythos (“racconti”) che erano stati trasmessi attraverso i secoli di generazione in generazione e sui quali i Greci fondavano una salda conoscenza storica del proprio passato. Non per nulla lo stesso Tucidide, sempre piuttosto critico rispetto a questo tipo di narrazioni, li accettò e li utilizzò nella sezione “archeologica” della sua Guerra del Peloponneso, al fine di ricostruire la storia primitiva della Grecia nel suo complesso.
Consapevole che il centro di gravità del mondo greco fosse costituito dal Mar Egeo, e che era intorno a esso che si era plasmata la storia del popolo ellenico, Tucidide non esitò a tornare indietro a epoche che si perdevano nel territorio del mito e in cui emergeva con forza una figura speciale:
«Minosse fu il più antico, di cui ci è giunta notizia, che si procurò una flotta e dominò sulla maggior parte del mare che ora si chiama greco: estese il suo potere sulle isole Cicladi e ne colonizzò la maggior parte, dopo averne scacciati i Carii e aver collocato al potere i suoi figli stessi. Naturalmente non trascurava di togliere dal mare, per quanto possibile, la pirateria, affinché più sicuri gli giungessero i tributi.» [Tucidide, Libro I, 4]
Tucidide si riferiva senza dubbio al leggendario re Minosse di Creta che, secondo una tradizione fra le tante, pare sia stato un re giusto e un legislatore saggio che alla sua morte si trasformò in uno dei tre giudici dell’inferno, perché era riuscito a stabilizzare il commercio marittimo, aveva fondato delle colonie ed era riuscito a garantire la sicurezza dei mari. Tuttavia, nessun greco del tempo di Tucidide ignorava anche un’altra tradizione mitica che presentava Minosse sotto una luca più fosca. Secondo quest’altra versione, Minosse aveva ordinato la costruzione di un grande labirinto dove doveva essere rinchiuso il Minotauro, la creatura metà uomo e metà toro, frutto della passione animalesca della regina Pasifae per un bellissimo toro bianco che lo stesso re si era rifiutato di sacrificare al dio del mare, Poseidone. Dentro il labirinto il mostro divorava periodicamente i giovani che i territori sottomessi al potere del monarca inviavano al re come tributo.
Almeno fino all’epoca ellenistica il confine che separava mito e storia rimase molto incerto, ma con il passare del tempo questi racconti su ricche città ed eroici sovrani (come la Cnosso di Minosse, la Micene di Agamennone o la Troia del vecchio re Priamo) finirono con l’essere accantonati nei nebulosi territori della leggenda, a causa dell’assenza di prove documentali a conferma della loro realtà storica. Tuttavia, le scoperte fatte negli anni Settanta del XIX secolo dal celebre archeologo tedesco Heinrich Schliemann nei terreni di Troia e Micene impressero una nuova prospettiva allo sguardo tradizionale sulla mitologia greca: senza arrivare a sostituire la storia del passato più antico dei Greci, i miti potevano comunque offrire alcune chiavi interpretative.
Fu nel 1900 che l’archeologo britannico sir Arthur Evans affondò la pala in un terreno che aveva comprato sulla costa nord di Creta, dando inizio agli scavi di Cnosso, grazie ai quali rilevò al mondo le vestigia di una civiltà, la prima vera civiltà propriamente europea, che era rimasta dormiente sotto il suolo dell’isola per un tempo di oltre tremila anni. Riportando la memoria al passato mitico dei Greci, Evans diede alla civiltà che aveva appena scoperto il nome di minoica, in onore del re Minosse, il primo, non solo secondo il mito ma anche secondo gli autorevoli storici greci, ad aver creato un impero fondato sul dominio del mare. Sarebbe stata questa egemonia marittima a trasformare Creta, a metà del II millennio a.C., in uno dei principali protagonisti del Mediterraneo orientale durante l’Età del Bronzo.
Forse in nessun altro scenario come quello scoperto da Evans si era prodotta una commistione così intensa di mito e realtà. In questo scavi l’archeologo portò alla luce una costruzione anomala, senza limiti definiti, composta da più di un migliaio di edifici annessi al palazzo, magazzini e sale cerimoniali, che comunicavano fra loro grazie a un tortuoso intreccio di scale e corridoi; una costruzione la cui complessità architettonica richiamava fortemente la forma di un labirinto, forse la versione favolistica del palazzo del re Minosse.
Articoli correlati: Ibridi, mostri, labirinti: i miti Cretesi | Gli animali fantastici nella mitologia antica e medievale | La città sepolta di Akrotiri e le sue pitture minoiche |