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Il concetto di «medicina» e «malattia» nel mondo classico

Statua in marmo di Asclepio, copia romana del II sec.d.C. di originale greco del IV sec.a.C. Museo del Louvre

Nelle età più antiche la medicina si confondeva con la magia e la malattia era considerata effetto di una punizione degli dei o di possessione da parte di demoni. Le cure erano affidate a medici guaritori che somministravano ai malati erbe e pozioni, ma talvolta potevano anche intervenire chirurgicamente; anche il pronunciare formule magiche (epodài in greco, carmina in latino) rientrava nelle pratiche curative. Di tali guaritori troviamo tracce nei poemi omerici (per esempio i medici Macaone e Podalirio nell’Iliade), mentre intorno a figure di particolare prestigio nacquero veri e propri culti, amministrati da medici-sacerdoti: fra questi Asclepio (Esculapio), venerato poi come dio della medicina.

Ippocrate

La medicina come scienza nacque in Grecia con Ippocrate di Cos (460-370 a.C.), sotto il cui nome di è costituito un corpus di 52 opere (il Corpus Hippocraticum), composte da vari autori delle scuole di Cos e di Cnido tra la fine del V e il IV secolo a.C.: tali opere affrontano i vari rami della medicina – quali la chirurgia, la ginecologia, la dietologia, la traumatologia e altri – e adottano una terminologia medica destinata a restare nella nostra tradizione. Pur avendo già acquisito l’impostazione di una scienza, la medicina antica risente della concezione generale dell’uomo e quindi può essere condizionata dalla filosofia: a partire dall’epoca ellenistica si è soliti parlare di quattro scuole, (o sette), i Dogmatici, gli Empirici, i Metodici e gli Pneumatici, corrispondenti alle maggiore scuole filosofiche del tempo. La teoria dominante nella medicina antica, elaborata anche da Ippocrate, si fonda sulla convinzione che come la materia è formata da quattro elementi (terra, aria, fuoco, acqua), così il corpo è costituito da quattro fluidi o umori cardinali, il sangue, la flemma, la bile gialla e la bile nera (melancolia). Se gli umori sono armonicamente mescolati si determina uno stato di buona salute, mentre il loro squilibrio produce la malattia. Compito del medico è ristabilire l’equilibrio compromesso, finalità che spesso, secondo Ippocrate, è la natura stessa a raggiungere con le sue forze.

Con la concezione scientifica della malattia si sviluppa anche una teoria clinica che impone al medico di osservare i sintomi, di individuare la malattia (diagnosi), formulare una previsione dei suoi sviluppi (prognosi), e infine prescrivere la terapia. Quest’ultima si basava su riposo e dieta, ma anche su cure fisiche come clisteri, bagni e salassi. La farmacopea è all’origine piuttosto semplice, ma tende a farsi più complessa con il passare del tempo: i medici antichi conoscevano almeno un terzo delle erbe usate dalla farmacopea moderna ed elaboravano ricette a volte anche assai complicate.

Galeno

Fra i maggiori esponenti della scienza medica nell’antichità ricordiamo infine Galeno di Pergamo, vissuto nel II secolo d.C.: rispetto alla formazione di tipo ippocratico, Galeno concepisce una scienza medica che potremmo definire di “alto profilo”, rivolta a privilegiare «il suo versante teorico, la sua stretta connessione con il sapere logico-matematico da un lato, con la scrittura letteraria dall’altro, la netta distinzione dalle pratiche manuali e banausiche» (cit. M.Vegetti, “Modelli di medicina in Galeno”). La medicina viene così inserita da Galeno in una visione unitaria del sapere, e connessa non solo alla filosofia, ma anche alla geometria, alla matematica, alla grammatica e alla retorica.

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