1/2) Fordicidia: Alla dea Tellus il 15 aprile, nelle curie, in Campidoglio, e anticamente anche nei campi, veniva sacrificata una vacca gravida durante la festa delle Fordicidie (forda è la femmina gravida, da fero, nell’antico significato di ‘portare nel ventre’). Ovidio dice che forda è la vacca che ‘porta’, «da cui, sembra, derivi anche il nome fetus». Ovidio spiega anche il perché di quei sacrifici: «Ora il bestiame è gravido e gravida di sementi la terra; alla Terra pregna si offre una vittima pregna». Ai tempi di Numa la terra dava scarsi frutti, le bestie partorivano prematuramente, «spesso l’agnello nascendo uccideva la madre». Numa invoca un sogno rivelatore, e mentre dorme gli appare Fauno che gli dice: «Devi placare la Terra dando la morte a due bovini; ma una sola vacca dia due vite ai sacrifici». Quelle parole udite in sogno dapprima sconcertarono Numa, poi capisce che deve sacrificare una vacca gravida.
Il rito, nella descrizione di Ovidio, consisteva nello sgozzare nel tempio di Giove trenta vacche, dal ventre delle quali i sacerdoti estraevano i feti; le viscere dei vitellini venivano bruciate sull’altare della Vestale più vecchia e la cenere conservata per purificare il popolo durante le Parilie, festa che si teneva il 21 aprile, sei giorni dopo le Fordicidie (Ovidio, Fast. IV 629-72).
«Dal fatto che la festa trae il nome non dalla dea, ma dall’atto sacrificale, alcuni hanno dedotto» dice Dumézil, «che il rito appartenesse almeno inizialmente alla pura magia.» Cfr. G. Dumézil, La religione romana arcaica, Paris 1974, trad. it. Milano 1977, pp. 326-29.
2/2) 68 a.C.: nasce ad Arezzo, Gaio Cilnio Mecenate, di origine etrusca entrata, nel ramo paterno, nell’ordine equestre romano da alcune generazioni, fu un influente consigliere, alleato ed amico dell’imperatore Augusto.
Le sue relazioni con Ottaviano risalgono probabilmente al 42 a. C., quando combatté nella battaglia di Filippi. Per le sue doti di abile diplomatico, di amico fidato e devoto divenne negli anni successivi uno dei più ascoltati consiglieri di Ottaviano, accanto al quale già il padre sarebbe stato nel 44. Nel 40 fu incaricato di chiedere per Ottaviano la mano di Scribonia e contribuì validamente alla stipulazione del trattato di Brindisi. Nel 38 si recò in Grecia a sollecitare, secondo i più, l’appoggio di Antonio nella lotta contro Sesto Pompeo. Nel 37 fu tra i principali autori dell’accordo di Taranto. Nel 36, durante la guerra con Sesto Pompeo, Ottaviano lo inviò a Roma a mantenere l’ordine. Mecenate seppe assolvere il difficile compito allora e per tutto il tempo in cui, in una posizione singolare, senza alcuna carica ufficiale, ma con poteri quasi illimitati, continuò a essere il rappresentante di Ottaviano a Roma e nell’Italia. La sua abilità non disgiunta da fermezza fece buona prova, ad es., quando egli seppe scoprire e impedire la congiura del giovane Lepido, figlio del triumviro. In difficoltà si trovò soltanto nel 31 durante un ammutinamento militare. Molto dubbia la sua partecipazione alla battaglia d’Azio. Nel 29 fu tra i pochi andati incontro al vincitore che ritornava dall’Egitto. Divenuto Ottaviano Augusto, Mecenate, che, alieno come sempre per aristocratico disdegno da ogni onore, rimase nella condizione di semplice cavaliere, sparve quasi completamente dalla scena della politica attiva. Mentre soddisfaceva alle tendenze del suo temperamento, rivolgeva sempre più le sue cure a quel circolo letterario che aveva formato intorno a sé e che annoverò L. Vario, Plozio Tucca, Quintilio Varo, Aristio Fusco, Valgio Rufo, Domizio Marso, Properzio, primi fra tutti Virgilio e Orazio. Se dedicandosi a tale attività egli ubbidiva a una nobile inclinazione del suo animo e conseguiva a suo vantaggio i maggiori risultati, d’altra parte non si può negare ogni sua influenza sugli scrittori a beneficio di Augusto, per quanto non si debba parlare di propaganda artificiosamente creaca. Anche se non era più il consigliere di una volta, la sua parola tuttavia dovette ancora essere considerata di gran polso. Le sue relazioni di amicizia con Augusto subirono negli ultimi tempi qualche periodo di raffreddamento, anche per l’infedeltà della moglie di M. Terenzia. Mecenate trascorse gli ultimi anni tormentato dalla febbre e da continua insonnia; morì l’8 a. C., poco prima di Orazio. Lasciò Augusto erede dei suoi immensi beni in Italia e in Egitto.
Gran signore nel vero senso della parola, ricco di vizî ma più di virtù, dotato di qualità eccellenti d’animo e d’ingegno, Mecenate fu uno di quegli uomini che, pur tenendosi nel secondo piano degli avvenimenti, contribuiscono in forte misura a indirizzarli e dirigerli: di molto gli fu debitore Augusto nella progressiva ascensione verso il potere supremo e nell’instaurazione del nuovo ordine di cose. Di quell’immortalità che i poeti gli ottennero Mecenate fu veramente degno, come pure dell’altissima gloria che da lui prendesse nome una delle più nobili forme di attività umana.