Dal 153 a.C.: giorno in cui entravano in carica i consoli; in età imperiale gli imperatori – come consoli – assumevano il consolato lo stesso giorno.
Festività: celebrazioni in onore di Giove Capitolino al Campidoglio, Giano, Esculapio e Veiove.
1/13) 58 a.C.: Roma – Il console Aulo Gabinio, nel corso della cerimonia della sua entrata in funzione (coincidente con la festività dei Compitalia), rifiuta di sacrificare alle divinità egizie, uso appena introdotto dal tribuno neo-eletto Publio Clodio Pulcro (personaggio di spicco della fazione dei populares), che aveva anche contribuito a creare degli appositi collegi sacerdotali a sostegno della sua attività politica. L’esempio di Gabinio viene seguito subito dopo dall’altro console Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, con l’approvazione del Senato. Le are di Iside e Serapide vengono rovesciate.
2/13) 49 a.C.: Roma – Giulio Cesare fa consegnare dal tribuno della plebe, Gaio Scribonio Curione, una lettera-ultimatum ai consoli di quell’anno, Lucio Cornelio Lentulo Crure e Gaio Claudio Marcello, proprio nel giorno in cui entravano in carica. La lettera venne a fatica letta in Senato, ma non se ne poté discutere poiché la maggioranza era ostile a Cesare. Tra questi vi era anche il suocero di Pompeo, Quinto Cecilio Metello Pio Scipione Nasica. Cesare nella lettera si impegnava a dimettersi dal comando militare a condizione che Pompeo facesse altrettanto. Concludeva che qualora Pompeo avesse mantenuto l’esercito, sarebbe stato ingiusto privarlo del suo, consegnandolo all’odio dei suoi nemici. Qualcuno parla in difesa di Cesare, temendo un’imminente guerra, come Marco Calidio e Marco Celio Rufo, i quali ritenevano che Pompeo dovesse partire per le proprie province, in modo da eliminare ogni possibile ragione di attrito. Essi credevano che Cesare temesse che le due legioni che gli erano appena state sottratte per la guerra partica, sarebbero state invece riservate proprio a Pompeo, forse per il fatto di essere state accampate vicino a Roma. Il violento intervento del console Lucio Lentulo mette però a tacere le richieste dei due senatori, tanto che i più si associarono alla richiesta di Scipione.
«Dopo che la lettera di Cesare fu consegnata ai consoli, si ottenne con difficoltà, nonostante la forte insistenza dei tribuni della plebe, che essa fosse letta in senato; non si poté invece ottenere che se ne discutesse ufficialmente. I consoli presentano una relazione sulla situazione dello stato. Il console L. Lentulo aizza il senato; promette di non fare mancare il suo sostegno allo stato, se i senatori vorranno esprimere il loro parere con coraggio e forza; ma se essi hanno riguardo per Cesare e ricercano il suo favore, come hanno fatto nei tempi passati, egli prenderà posizione nel proprio interesse senza sottostare all’autorità del senato; del resto anch’egli ha modo di trovare rifugio nel favore e nell’amicizia di Cesare. Con il medesimo tono si esprime Scipione: l’intenzione di Pompeo difendere lo stato, se il senato lo asseconda; ma se il senato esita o agisce con troppa mollezza, invano implorerà il suo aiuto, se in seguito lo vorrà.
Questo discorso di Scipione, poiché la seduta del senato si teneva in città e Pompeo era vicino, sembrava uscire dalle labbra dello stesso Pompeo. Qualcuno aveva espresso un parere più moderato, come in un primo tempo M. Marcello che, presa la parola in quell’intervento, sostenne che non era il caso di discutere della cosa in senato prima che si facessero in tutta Italia leve e si arruolassero eserciti, sotto la cui protezione il senato avrebbe osato decretare con sicurezza e liberamente il proprio volere; come M. Calidio, che proponeva che Pompeo tornasse nelle sue province, perché non vi fosse motivo di ricorso alle armi; Cesare temeva, egli diceva, che, essendogli state sottratte due legioni, Pompeo le trattenesse presso la città, tenendole di riserva con intenzioni ostili nei suoi confronti; come M. Rufo, che faceva suo il parere di Calidio, addirittura mutandone solo poche parole. Tutti costoro, travolti dalla clamorosa protesta del console L. Lentulo, erano oggetto di violenti attacchi. Lentulo dichiarò di non avere assolutamente intenzione di mettere in votazione la mozione di Calidio; Marcello, atterrito dalle clamorose proteste, ritirò la sua. Così la maggior parte dei senatori, trascinata dalle grida del console, dalla paura che suscitava la vicinanza dell’esercito, dalle minacce degli amici di Pompeo, pur controvoglia e per costrizione, approva la proposta di Scipione: che Cesare, prima di un dato giorno, smobiliti l’esercito; se non lo fa, risulti chiaro che egli ha intenzione di agire contro lo stato. Fanno opposizione i tribuni della plebe, M. Antonio e Q. Cassio. Subito si pone in discussione il veto dei tribuni. Vengono espressi pareri pesanti; quanto più ciascuno parla con arroganza e durezza, tanto più è colmato di lodi dagli avversari di Cesare.» [Cesare, De bello civili I,1-2]
3/13) 46 a.C.: Roma – Giulio Cesare introduce ufficialmente, in qualità di pontefice massimo, il calendario “giuliano” solare. Dopo aver assegnato la durata di 445 giorni all’anno 708 di Roma (46 a.C.), che definì ultimus annus confusionis, stabilisce che la durata dell’anno sarebbe stata di 365 giorni, e che ogni quattro anni si sarebbe dovuto intercalare un giorno complementare. L’anno di 366 giorni viene detto bisestile, perché quel giorno complementare doveva cadere sei giorni prima delle calende di marzo (facendo raddoppiare il 23 febbraio), e chiamarsi così bis sexto die ante Kalendas Martias (nel doppio sesto giorno prima delle calende di marzo).
Con la riforma di Giulio Cesare (che stabilì così la regola del calendario giuliano) l’anno resta diviso in 12 mesi, della durata, alternativamente, di 31 e 30 giorni, con la sola eccezione di febbraio, che era destinato ad avere 29 giorni oppure 30 (negli anni bisestili). Inoltre gennaio e febbraio diventano i primi mesi dell’anno, anziché gli ultimi, com’era stato dai tempi di Numa Pompilio fino ad allora.
4/13) 42 a.C.: Roma – Giulio Cesare viene deificato dal Senato, e insignito del titolo di Divus. Egli è il primo romano a cui viene riservato tale titolo, in seguito adottato anche dagli imperatori.
5/13) 8 a.C.: Roma – Per ovviare a calcoli errati nell’aggiunta degli anni bisestili (dal 44 a.C. messi ogni tre anziché ogni quattro) Augusto fa rimuovere i successivi tre anni bisestili. Il Senato decide poi di dare il nome di Augustus al mese di Sextilis, in onore dell’imperatore. Viene stabilito anche che questo mese dovesse avere lo stesso numero di giorni del mese che onorava la memoria di Giulio Cesare, ossia Julius (vecchio Quintilis): viene tolto così un giorno a febbraio, che scende a 28 giorni (29 negli anni bisestili), per darlo ad agosto, mentre viene cambiato il numero dei giorni degli ultimi quattro mesi dell’anno, per evitare che vi fossero tre mesi consecutivi con 31 giorni.
6/13) 69 d.C.: Mogontiacum – Le due legioni romane di stanza in Germania Superiore si ribellano all’autorità dell’imperatore Galba e chiedono la nomina di un nuovo imperatore: queste rifiutano di rinnovare il giuramento di fedeltà chiesto loro da Ordeonio Flacco, nuovo comandante della Germania Superiore, e distruggono tutte le statue dell’imperatore in carica. Alla rivolta si uniscono anche le cinque legioni della Germania Inferiore.
8/13) 193 d.C.: Roma – La Guardia Pretoriana nomina nuovo imperatore, in sostituzione dell’assassinato Commodo, il proprio prefetto Publio Elvio Pertinace, già impegnato e distintosi in vari anni come tribuno militare, prefetto della flotta, console, proconsole, governatore provinciale e praefectus Urbis sotto Marco Aurelio e Commodo. La sua nomina, per quanto imposta dai Pretoriani, viene accettata di buon grado dal Senato.
«Colui che fu sul punto di ucciderti, [Elvio Pertinace], sia trascinato con l’uncino. Hai temuto con noi, sei stato in pericolo con noi. Perché possiamo essere salvi, Giove Ottimo Massimo, salvaci Pertinace. […] Salvo te, siamo salvi e sicuri noi pure, sì, sì, ora sì, ora in modo degno, ora sì, ora da uomini liberi! […] Anche tu hai avuto paura assieme a noi, sai tutto, conosci i buoni e i malvagi. Tu sai tutto, rimedia tu a tutto; noi abbiamo temuto per te. Felici noi, ora che ti abbiamo visto sul trono! Esponi, esponi i capi d’accusa contro il parricida, interroga ad uno ad uno. Chiediamo la tua presenza. Gli innocenti sono rimasti insepolti: il cadavere del parricida sia trascinato con l’uncino. Il parricida ha disseppellito i morti: il cadavere del parricida sia trascinato». Historia Augusta, Commodo, 18-19.
Pertinace affida il corpo di Commodo al procuratore patrimoniale Livio Larense affinché fosse segretamente sepolto nel mausoleo di Adriano. Avutane notizia, il Senato dichiara allora Commodo hostis publicus e ne decreta la damnatio memoriae, mentre il popolo continua a invocarne il disseppellimento e il trascinamento del cadavere nel Tevere (come veniva fatto con i “nemici della patria”).
10/13) 417 d.C.: ? – Galla Placidia sposa in seconde nozze il patricius e magister militum Flavio Costanzo, che affiancherà con il nome di Costanzo III il fratello di lei Onorio alla guida dell’Impero d’Occidente, ma senza il riconoscimento dell’Impero d’Oriente. Dall’unione tra Galla e Costanzo III nascerà nel 419 d.C. il futuro imperatore Valentiniano III.
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