Dopo la guerra tra i Bizantini guidati da Narsete e i Goti di Teia, in Campania (intesa come regione storica) – così come in tutta l’Italia – veniva ripristinata l’autorità imperiale romana (553). Il quadro della regione, un tempo molto ricca, – tramandato da Procopio di Cesarea – è desolante, fatta eccezione per Cuma e Napoli, le due sole città ad essere ancora fortificate. Le cause di questa regressione, cui i Bizantini prima e i Longobardi poi si ritrovarono a far fronte, vanno ricercate nelle continue devastazioni degli eserciti, nella malattie, nell’abbandono e nello spopolamento delle campagne, nonché nella riorganizzazione delle città e dei capisaldi amministrativi.
Uno dei primi interventi (tra i pochi attestati) della nuova politica giustinianea si ha nell’antica Nuceria Alfaterna, dove nel VI secolo d.C. avviene una nuova riorganizzazione urbanistica, come testimoniato dal Battistero della Rotonda di S.Maria Maggiore, che doveva essere parte di un più vasto complesso oggi perduto. La nuova città però non sopravvive a lungo, poiché i Longobardi – al loro arrivo, per loro vantaggio – non ritengono opportuno conservare un insediamento fortificato del genere: in mano bizantina restavano saldi i ducati di Napoli (assediata nel 581 d.C.) e Amalfi, e Nocera sarebbe strategicamente divenuta minacciosa nel caso di un eventuale tentativo di avanzata e riconquista bizantina verso Capua (longobarda dal 594 d.C.) da e Salerno (occupata nel 640 d.C.).
L’arrivo dei Longobardi stravolge nuovamente gli equilibri urbanistici della regione, e nei territori invasi inizia un processo di ritiro dalla pianura ai centri collinari, che in breve tempo furono costellati da fortificazioni, in particolari torri difensive. La contrazione delle città antiche, oltre alle probabili distruzioni dei suddetti centri, si ha anche per la riduzione dei suoi abitanti: un caso esemplare è costituito dall’antica Abellinum (attuale Atripalda, dal nome del signore longobardo Truppoald che vi si insediò), che si riduce alla parte più elevata dell’abitato, un tempo luogo di case patrizie romane. Un analogo processo si ha anche nell’antica Paestum, il cui abitato si contrae, prima del definitivo abbandono, nei pressi dell’Athenaion: le abitazioni sono costruite prevalentemente con materiali di spoglio, a volte addossate alle strutture antiche. La decadenza di Paestum, in gran parte impaludata, finirà per avvantaggiare i vicini centri di Agropoli e Capaccio, che manterranno le stesse disposizioni. La piana del Sele costituiva sia per i Longobardi che per i Bizantini una continua attrattiva. Gli invasori in questo caso imitarono i principi e gli schemi insediativi bizantini (esattamente come fatto con la coniazione delle monete): dopo una prima fase di conquista e nuova fortificazione dei castra, concentrarono la loro attenzione sulle campagne e sul loro ripopolamento.
Non è possibile, date le lacune nella ricerca, definire con certezza i confini delle aree rurali soggiogate dai Longobardi negli anni intorno al 571, quando Benevento diventa un duraturo caposaldo per l’espansione longobarda verso sud: molte acquisizioni regionali sono dovute al ritiro imperiale giustificato dalla crescente preoccupazione bizantina per la guerra contro i Persiani. La penetrazione longobarda inizia partendo dalle valli fluviali interne, nelle quali venivano fatti edificare ricinti fortificati di modeste dimensioni al fine di assicurarsi il controllo del territorio: così nacquero gli insediamenti di Castellona sul fiume Titerno, Castel S.Pietro nell’alto Volturno, Avella verso la Terra di Lavoro, posti a difesa dal Ducato bizantino di Napoli. Sul fronte orientale, i Longobardi occuparono e riedificarono la piazzaforte di Conza, le cui mura erano state distrutte da Totila nella guerra greco-gotica, e sbarrarono ai Bizantini la penetrazione dalla Puglia, controllando il fiume Ofanto. Una volta messi in sicurezza i confini, essi occupano indisturbati il corso del Sele e invadono senza troppi intoppi la pianura fino al mare. Tuttavia la regione rientra sempre nell’orbita bizantina: gli imperatori bizantini non rinunceranno mai a considerare di loro pertinenza l’Italia meridionale, e proveranno a più riprese a rioccuparla sin dal 662, anno della battaglia di Fiorino tra gli eserciti dell’imperatore Costante II e il duca longobardo Romualdo.
Se da un lato la regione si presentava sotto il controllo longobardo e bizantino, dall’altro abbiamo invece le sempre più continue scorrerie arabe che finiranno per colpire buona parte dei suoi territori. Giusto per renderci conto della portata storica degli eventi, ci limitiamo a citare due esempi: Capua/Sicopoli e Paestum/Capaccio. La prima, Capua (odierna S.Maria Capua Vetere), sede dell’omonima contea longobarda, venne addirittura rasa al suolo dai Saraceni comportando lo spostamento verso la città di nuova fondazione di Sicopoli. L’origine della città di Capaccio viene fissata alla fine del IX secolo per lo spostamento dei Pestani dalle pianure insicure ai monti circostanti che offrivano migliori possibilità di difesa: l’esodo fu graduale, e le strutture nella pianura furono utilizzate come rifugi provvisori da contadini e pastori. Tra l’eredità cultuale e la continuità di Capaccio con la Paestum antica ricordiamo l’effigie della Madonna del Granato, che richiama il culto trasposto dell’Hera pestana, fondato sull’evidente similitudine iconografica tra figurine fittili di Hera e la scultura dell’antica cattedrale.
[NDR: tutti gli argomenti verranno ripresi e approfonditi – per tutte le aree trattate e non – anche sotto altri aspetti, come quello archeologico, nei prossimi articoli].
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