Lingue e Letteratura

La scomparsa dei casi dal latino all’italiano

Dall’indoeuropeo al latino. Nell'”indoeuropeo” (lingue indoeuropee nel loro complesso, ndr) la declinazione comprendeva otto casi, cioè, in aggiunta ai sei sopravvissuti nel latino (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo, ablativo), altri due casi: il locativo e lo strumentale. Di questi due casi, solo il primo sopravvisse in forme isolate (es. domi “in casa”, genitivo locativo) e in parte confluì nell’ablativo. Lo strumentale, invece, fu completamente assorbito nell’ablativo. La riduzione del numero dei casi comportò un allargamento delle funzioni logiche che erano svolte dai casi superstiti, provocando due conseguenze concrete: la polivalenza di alcuni casi, soprattutto dell’ablativo che poteva indicare causa, mezzo, modo ecc., e il ricorso alle preposizioni per caratterizzare più specifiche funzioni.

La fine della flessione nominale. La riduzione del numero dei casi accentuò gli elementi di ambiguità già insiti nel sistema della declinazione latina, in cui una stessa forma spesso riuniva funzioni molteplici: il termine rosæ, per esempio, poteva significare “della rosa, alla rosa, le rose (nominativo plurale), o rose”. L’ambiguità era destinata a crescere quando nel latino parlato caddero le consonanti finali e nel latino tardo venne meno il senso della quantità con la conseguente perdita della distinzione tra vocali lunghe e vocali brevi. In questo modo rosa poteva significare non solo “la rosa” (nominativo) e “o rosa”, ma anche “la rosa (accusativo), “con la rosa”, “per la rosa”, “a causa della rosa” e altro ancora.

In conseguenza di tutto questo, il sistema della declinazione entrò gradualmente in crisi. Di questa crisi l’evento più rilevante fu la scomparsa delle desinenze dei casi: essa segna anche il passaggio dal latino all’italiano. Dapprima caddero in disuso il locativo e lo strumentale, poi progressivamente gli altri casi. Il nominativo e l’accusativo finirono per confondersi, a vantaggio della forma dell’accusativo, che è in genere la forma da cui derivano le parole italiane, previa caduta della m finale: per esempio l’italiano “console” deriva dall’accusativo consule(m), non dal nominativo consul; “monte” deriva da monte(m), non da mons. Il genere neutro scomparve, anche in conseguenza della stessa confusione tra generi.

Le funzioni sintattiche in italiano. In mancanza delle desinenze dei casi, in italiano le funzioni sintattiche sono espresse dall’articolo (per i casi diretti) e dalle preposizioni (per i casi indiretti). Altre funzioni sono espresse poi dalla posizione dei termini all’interno della frase, che in latino era libera mentre in italiano essa è vincolata dalla successione soggetto-verbo-complemento oggetto. Ad esempio, in latino la frase Paulus Gaiam amat “Paolo ama Gaia” poteva essere anche modificata in Paulus amat Gaiam oppure in Gaiam Paulus amat, senza pregiudizio di senso: bastavano infatti le terminazioni dei casi a segnalare la differenza tra soggetto e oggetto. In italiano, al contrario, si impone come unica forma possibile Paolo ama Gaia, in quanto è la posizione stessa delle parole ad avere valore distintivo e morfologico.

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Antonio Palo

Laureato in 'Civiltà Antiche e Archeologia: Oriente e Occidente' e specializzato in 'Archeologie Classiche' presso l'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'. Fondatore e amministratore del sito 'Storia Romana e Bizantina'. Co-fondatore e presidente dell'Associazione di Produzione Cinematografica Indipendente 'ACT Production'. Fondatore e direttore artistico del Picentia Short Film Festival.

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